VAJONT, 60 anni dopo: raccontare per non dimenticare

Il regista e drammaturgo Marco Paolini dopo aver messo in scena nel 1993 proprio sul luogo della tragedia Il racconto del Vajont, un’orazione civile, ha deciso quest’anno di commemorare i 60 anni scrivendo un testo teatrale da mettere a disposizione di chiunque volesse fare memoria di questa vicenda. 

Questo nuovo testo si intitola VajontS al plurale proprio perché il racconto potesse moltiplicarsi in tutta Italia per non svanire mai. 

I fatti in sintesi sono questi: alle ore 22.39 del 9 ottobre 1963 una frana di 270 milioni di metri cubi si staccò dal monte Toc, precipitò nel lago artificiale formato con una diga sul corso del torrente Vajont. Si sollevarono 2 onde d’acqua: la prima lambì i paesi di Erto e Casso che si trovano sulle sponde del lago, la seconda si innalzò sulla diga (che è rimasta intatta) e precipitò sul paese di Longarone (Belluno) distruggendolo completamente. Il mattino dopo si contarono quasi 2000 morti. 

Dino Buzzati, famoso giornalista, iniziò il suo articolo per il Corriere della Sera così: 

Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua è caduta sulla tovaglia. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri, il sasso era grande come una montagna e sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi”. (Corriere della Sera, 11 ottobre 1963) 

Un disastro naturale dunque? 

Come Buzzati, tutti i cronisti giunti sul luogo non furono capaci di mettere a fuoco  le responsabilità umane, e nel caso specifico della SADE (“Società Adriatica di Elettricità”), la potente società, quasi “uno stato nello stato” che ha realizzato il progetto, che ha portato avanti ad ogni costo la costruzione nonostante i segnali di pericolo, che ha ignorato i pareri dei geologi che avevano capito la presenza di una enorme frana preistorica sul monte Toc. 

Solo Tina Merlin giornalista dell’Unità fu in grado di dire le cose come stavano. Scrisse: E’ una strage che si poteva evitare.  Fin dall’inizio si era opposta con grande coraggio e fermezza a questo progetto. Negli anni ‘60 denunciò le irregolarità  nella costruzione della diga e due anni e mezzo prima della tragedia scrisse un articolo dal titolo: “Un’enorme massa di 50 milioni di metri cubi minaccia la vita e gli averi degli abitanti di Erto“. Ricevette per questo  una denuncia per “diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico”, ma non si arrese ed infatti venne poi assolta. Dopo l’accaduto, nel 1983, pubblicò il libro “Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont”, dove ripercorre  l’intera vicenda. 

Per commemorare i 60 anni dalla tragedia, noi di 2^E, insieme alla prof.ssa Pelosi, abbiamo creato un video a partire dal copione di Marco Paolini. Lo abbiamo fatto per entrare più nel vivo della vicenda e comprendere meglio come questa tragedia potesse essere evitata. 

Chiara Boschi e Veronica Panziroli 2E

Link al video 

https://vimeo.com/manage/videos/912146745/b76836b9fc

liberamente tratto da 

VajontS23

Azione corale di teatro civile. Un racconto, Cento racconti di acqua e futuro 

nel 60° anniversario della frana del Vajont 

un progetto di Marco Paolini con la collaborazione di Marco Martinelli

realizzato da Jolefilm 

per La fabbrica del Mondo in collaborazione con la Fondazione Vajont

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