Il RACCONTO DEL VAJONT, TRA PASSATO E PRESENTE

Un mese fa ricorreva il sessantesimo anniversario del disastro del Vajont. Il 9 ottobre 1963, alle 22.39, una frana di centinaia di milioni di metri cubi precipitava dal monte Toc all’interno del bacino artificiale costruito lungo il corso del torrente Vajont, generando un’onda di quasi 250 metri che spazzò via cinque paesi e con questi anche la vita di circa duemila persone.

“4 minuti, da quando piomba la montagna a quando arriva l’acqua a Longarone, 4 minuti per decidere come vivi o come muori”. Sono queste le prime battute de “Il racconto del Vajont”, lo spettacolo di Marco Paolini a partire dal quale la classe 5A ha avuto la possibilità di riflettere su una tragedia che non va dimenticata. 

Ecco alcuni dei loro pensieri:

“Ciò che più mi è rimasto impresso nella memoria è l’immagine della montagna stessa, la frana a forma di M, che cade verso il lago ad una velocità smodata, trascinando con sé tutto ciò che vi riposava sopra: la terra, gli alberi, gli animali, persino qualche edificio. Coloro che videro questa catastrofe con i propri occhi, ne sentirono l’indescrivibile rumore con le proprie orecchie e percepirono il vento sulla propria pelle, sono testimoni di un evento quasi soprannaturale, un vero e proprio mondo in fuga verso l’acqua ad una velocità di oltre cento chilometri orari. “Ma quale Macbeth!”, esclama Paolini nel narrare gli eventi, riferendosi alla celebre profezia delle tre streghe di William Shakespeare, le quali avevano previsto che una foresta avrebbe marciato contro lo stesso Macbeth. Ma qui non si tratta di una profezia, bensì di un tangibile, concreto cataclisma, che si abbatté su Erto, Casso, Longarone e i paesi circostanti in quella tremenda notte del 9 ottobre 1963.”

 

“Emotivamente mi ha molto colpito il momento in cui l’attore riporta i pensieri dei paesani che vivevano in prossimità della frana: “Se fossimo in pericolo, ce lo avrebbero comunicato, ci avrebbero fatto evacuare”. Queste parole sono rimaste impresse dentro di me perché da esse traspare la fiducia della popolazione nelle istituzioni e in tutti coloro che stavano partecipando alla costruzione della diga: come non pensare che al primo posto essi avrebbero messo la salute e la sicurezza dei cittadini? Purtroppo sappiamo così non è stato: che fosse la voglia di detenere il record per lo sbarramento artificiale più alto al mondo o quella di guadagnare fino all’ultimo centesimo possibile, trovo veramente assurda la noncuranza dei vertici della SADE/ENEL nei confronti della vita umana. Quella del Vajont è una storia di imprese gargantuesche, primati, tracotanza e negligenze che hanno trasformato una delle opere ingegneristiche più formidabili al mondo nell’equivalente di una morsa mortale, che con la potenza di un ordigno atomico ha stritolato i paesi che si trovavano sul suo cammino, mietendo vittime ignorando sesso, età, patrimonio e famiglia.”

 

“Penso che, anche se lo spettacolo è di una trentina di anni fa, sia giusto continuare a mostrarlo ai diciottenni di oggi non solo per non dimenticare le vittime di quella tragedia ma anche perché le tematiche trattate sono ancora molto attuali. Prendiamo ad esempio il ruolo della stampa. Un aspetto che mi ha fatto molto riflettere è stato il momento in cui si è parlato del modo in cui i giornali avevano riportato la notizia della tragedia. Scriveva un famoso giornalista dell’epoca: “Questa è una sciagura pulita, gli uomini non ci hanno messo le mani, tutto è stato fatto dalla natura, che non è buona, non è cattiva, ma indifferente. E ci vogliono queste sciagure per capirlo! Non uno di noi moscerini vivo se la natura si decidesse a muoverci guerra”. Già all’epoca si sapeva che era stata la mano dell’uomo a causare il disastro, ma chi provava a mettere in discussione queste responsabilità veniva accusato di comportarsi da sciacallo. In fondo, la diga era rimasta in piedi e questo significava che i lavori erano stati fatti bene. L’unica responsabile non poteva che essere la natura!”

 

“Era tutto evitabile! L’uomo ha provato a sfidare la natura e ha perso miserabilmente non solo la partita ma anche 1910 vite. Nonostante questo, ancora oggi l’agire egoistico dell’uomo, il cercare di ottenere sempre di più senza pensare alle conseguenze è causa di disastri ambientali. L’inquinamento e il surriscaldamento globale ne sono la prova. La natura è come una tigre, tanto elegante e meravigliosa alla vista quanto spietata e letale quando stuzzicata, e l’unico modo per evitare di ripetere gli errori già commessi è guardare al passato con occhio critico e imparare a imparare dalla Storia”.

 

(Elisa DG, Diego, Silvia, Alessandro B., Marco, Riccardo, Elisa Z., Isacco)

 

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