Docufilm “Il Biennio Nero” – Un modo diverso di fare storia

Sono le nove del mattino di un assolato 26 aprile. Per le vie del centro echeggiano ancora vividi i ricordi di un 25 Aprile di memoria, gioia e gratitudine. Si dondolano tra i pochi ponteggi del palco ancora non smantellati e fendono l’aria di primavera assieme ai tricolori appesi tra un edificio e l’altro. Nell’Oltretorrente invece le sensazioni continuano a vivere sotto forma di parole, musica, volti: cinema insomma. Nella sala del Cine D’Azeglio infatti si assiste alla proiezione di un documentario particolare: “Il Biennio Nero”.

Il nome in sé è già molto potente: una ricca associazione tra la violenza rivoltosa del “biennio rosso” e la paura oscura e tenebrosa provocata dalle “camicie nere” , le squadracce fasciste.  Gli anni in questione vanno dal 1920 al 1922 e calpestano un territorio che col fascismo purtroppo ha avuto molto a che fare: l’ Emilia-Romagna.

Nonostante la durezza che ci si potrebbe aspettare da nome e locandina (in cui morte e armi sono le figure predominanti), la questione è trattata dal punto di vista più puro che ci si potrebbe mai aspettare, dei ragazzini di appena 12 anni.

Non è facile pensare a un simile abbinamento, considerando non solo la giovane età dei “protagonisti” ma anche la loro scarsa conoscenza in materia, non avendo ancora approcciato all’argomento in ottica scolastica. Al momento tutto quello che sanno può derivare esclusivamente da qualche ricordo di famiglia oppure da qualche monumento incontrato tra le piazze visitate nella loro ancora breve vita.

Per riuscire ad avvicinarsi al loro mondo i due registi, Paolo Soglia e Lorenzo K. Stanzani (coadiuvati dai professori), hanno optato per la metafora del viaggio, quella che forse costituisce ancora oggi il principale punto di raccordo tra adulti e bambini in un mondo in continuo cambiamento.

E così un’ apparentemente normale settimana di scuola si trasforma in una gita a tappe partendo da Bologna, la loro città natale. Ad accompagnarli, oltre a troupe e docenti, anche attori – da Donatella Allegro a Moni Ovadia – che devono improvvisarsi guide, per calarsi nell’atmosfera leggera e giocosa dell’età dei loro interlocutori.

Ed è così che dalla Strage di Palazzo D’Accursio del novembre 1920 (uno dei primi attacchi del neonato squadrismo) i giovani sono costretti a spostarsi di giorno in giorno in una nuova provincia emilano-romagnola pur di colmare la loro curiosità e trovare risposte ai loro perché.

Da Ferrara a Forlì e da Ravenna a Parma infatti le narrazioni storiche sono intervallate dalle impressioni degli alunni, sempre più colpiti e sconvolti da tanta violenza, ma soprattutto da tanta indifferenza: “Non riesco a capire come non si sia scoperto chi è stato a uccidere quella persona e a ferirne altre due all’interno di questa sala: perché non sono andati a comunicarlo?” oppure “Ma la polizia non faceva niente a riguardo?”.

Con la pazienza e l’indulgenza di un buon maestro, ogni dubbio viene colmato e i giovani, sempre più turbati e pensosi cominciano ad abituarsi all’immagine che fino ad allora era stata così sconvolgente.

Il punto di svolta è sicuramente Parma, di cui ai viaggiatori ormai sfiduciati non viene anticipato nulla, se non due parole: “ma” e “se”. Il riferimento in sé è lampante: “la storia non si fa né con i se ne con i ma” e la più grande testimonianza in materia non potevano che essere le Barricate.

Qui, con un velo di speranza ritrovata, si conclude la narrazione. I volti sorridenti dei piccoli protagonisti si alternano tra i titoli di coda ricordando i passaggi più belli della loro esperienza. Le parole sono più o meno sempre identiche tra i vari compagni ma soprattutto ci rimandano agli insegnamenti del passato: “amicizia”,  “conoscenza” e “partecipazione”.

Parlare a dei giovanissimi spettatori di un argomento così complesso e rilevante nel panorama culturale italiano e globale non era certo facile. Questo esperimento ha sicuramente dimostrato che è possibile e che forse, dati gli esiti, si può iniziare a rivedere l’approccio tra adulti e ragazzi, tra insegnanti e studenti, giungendo magari a un nuovo metodo pedagogico, che dia più fiducia e responsabilità, staccandosi magari dalla classica lezione frontale in aula davanti a un testo.

Letizia Bruno 5D

Il docufilm:  https://patrimonioculturale.regione.emilia-romagna.it/multimedia/video/il-biennio-nero

Può interessarti...