Balkan Baroque è un’opera artistica, presentata alla Biennale di Venezia nel ’97, che denuncia la guerra in generale, e in particolare affronta l’orrore della guerra che ha smembrato l’ex Jugoslavia. L’opera simboleggia l’impossibilità di cancellare le conseguenze irreparabili di tutti i conflitti militari. Infatti Abramovic, l’artista che la mette in scena, appare sopra 2500 ossa di vacca sanguinose, con attaccate carne e cartilagini. Per quattro giorni strofina le ossa per cercare di pulire il sangue e la carne, cosa che però è impossibile, così come è impossibile lavare e dimenticare la vergogna e la colpa di chi inizia e guida una guerra.
Balkan Baroque è come uno schiaffo in viso alle nostre coscienze che ci ricorda la crudeltà, la paura dello smembramento, della morte violenta e soprattutto la terrificante possibilità che questa ferocia, mostrata nelle guerre jugoslave, possa effettivamente essere una parte inalterabile di ciò che ci rende umani. Balkan Baroque ispira orrore non solo per il suo riferimento alle atrocità della guerra serbo-croata, ma anche per il disagio generato dalla riflessione dell’artista sulle inclinazioni oscure, assassine e carnali dell’essere umano. Ed è l’intensità con cui Abramovic trasmette queste emozioni ciò che di più mi ha colpito.
Abramovic però affronta questo disagio per sovvertirlo: invece di mostrare e poi condannare la violenza, l’artista si immerge volontariamente e profondamente nel sangue, nella carne e nelle ossa. Questa inquietante immersione all’interno di una sostanza abietta come la carne (con le sue connotazioni di violenza, morte e sangue) permette ad Abramovic di avviare un rituale di purificazione simile alla penitenza che offre qualche speranza di superare e trascendere gli orrori dello smembramento e della morte.
La crudeltà dell’uomo non ha limiti: per questo motivo bisogna immergersi, così come fa Abramovic, nel ricordo e nella sofferenza di chi ha dovuto affrontare tali atrocità, come un rito per non dimenticare.
Stefania Furlan, ex alunna 5B