Di senno e ampolle – Orlando furioso parte 3

“Era come un liquor suttile e molle,

atto a esalar, se non si tien ben chiuso;

e si vedea raccolto in varie ampolle,

qual più, qual men capace, atte a quell’uso.

Quella è maggior di tutte, in che del folle

signor d’Anglante era il gran senno infuso;

e fu da l’altre conosciuta, quando

avea scritto di fuor: Senno d’Orlando.”

Canto XXXIV, 83

Da quando l’uomo è sbarcato sulla Luna, abbiamo esplorato in lungo e in largo questo magnifico satellite terrestre. Certamente i nuovi passi in avanti della scienza e della tecnologia sono incredibili, però che peccato scoprire che un luogo così iconico, che ha donato immensa creatività a poeti e scrittori in realtà è solo un ammasso di rocce!

L’idea della Luna che ha avuto Ariosto è così interessante e favolosa che vale la pena di dimenticare per un attimo la realtà ed immergersi nell’Orlando Furioso. Quando Astolfo giunge sulla Luna, Ariosto ci regala una visione alternativa del mondo: ciò che viene descritto in questo luogo non è altro che la vita e l’agire umano, osservati da un altro punto di vista, tale da mettere in risalto ogni contraddizione degli uomini.

Nella strofa citata Astolfo si ritrova nella valle del senno, un posto immaginario in cui tutta l’intelligenza degli uomini, divenuti pazzi sulla Terra, si raggruppa in ampolle diversificate a seconda degli individui. La scelta di etichettare ogni ampolla con il nome della persona è davvero geniale e divertente. È così che si arriva al senno d’Orlando, quello rinchiuso nell’ampolla più grande: l’eroe-paladino, rimasto pazzo dopo l’amore non ricambiato di Angelica, si trova infatti senza raziocinio sulla Terra.

Un altro aspetto molto originale che mi ha colpito è la consistenza del senno, cioè “un liquor suttile e molle, atto a esalar, se non si tien ben chiuso”: questa metafora non è casuale, infatti a volte basta veramente poco per farci perdere la ragione, che deve stare appunto “ben chiusa” nella nostra testa per non essere “atto a esalar” all’esterno.

Infine, ritengo che da questa ottava bisogna imparare, al di là di ogni altro messaggio, che l’immaginazione (oltre che essere spesso più bella della realtà) è necessaria per comprendere al meglio la concretezza della natura umana che a volte ci sfugge.

Tommaso Basso, 4E

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