Conoscere i nostri professori è l’obiettivo di questa nuova rubrica, che è interamente dedicata a coloro che più di tutti ci accompagnano nel nostro percorso scolastico. A volte amati e spesso temuti, burberi o chiacchieroni che siano, alcuni di loro si sono resi disponibili per raccontarsi sotto una luce diversa da quella che illumina la cattedra. Rivivere l’adolescenza, raccontare i propri talenti nascosti o insolite esperienze di vita… e farsi conoscere dai propri studenti, che spesso dimenticano che i loro mentori si trovavano seduti nei loro stessi banchi.
Maria Saponaro, professoressa di lingua e letteratura inglese, nonché coordinatrice dei progetti Erasmus+ del nostro liceo, ha accettato di fare una chiacchierata con due inviate della redazione per raccontare la sua esperienza da adolescente, studentessa e sportiva. Sedute comodamente sui divanetti al primo piano, si comincia il viaggio nel passato.
Com’era Maria Saponaro a sedici anni?
“Sicuramente ero più insicura e inconsapevole, adesso conosco i miei punti di forza e debolezza, quello che so o non so fare. Il mio trasferimento da Milano a Parma durante il quarto anno di scuola superiore, è stato terrificante e impattante, ho perso amicizie e amori. In questo periodo ero sicuramente timida, anche se adesso non si direbbe. Allo stesso tempo ricercavo molto la socialità, facevo un grande sforzo per uscire dalla mia comfort zone. Volente o nolente, i miei genitori, lavorando, mi hanno sempre mandata ovunque, aiutandomi a sviluppare le mie competenze sociali. Ero in crescita, piena di energie e sempre impegnata, ma ero pur sempre un’adolescente, con i disagi personali e i pensieri autocritici che questo comporta. Lo sport mi ha sicuramente aiutata a guadagnare sicurezza.”
Come è maturata l’idea di fare l’insegnante?
“L’insegnamento non era previsto. Si rivelerà poi inaspettatamente un’opportunità per condividere il bisogno, l’urgenza di conoscere il mondo che è nato in me a quattordici anni dopo la mia prima vacanza studio. È stato in quel momento che ho capito che avrei viaggiato e studiato Lingue all’università. Prima di insegnare, mi sono occupata per un paio d’anni di delegazioni internazionali per le Fiere di Parma. Quando ho avuto mio figlio, poi, ho messo in stand-by la mia voglia di viaggiare e mi sono innamorata della scuola. Lo ripeto sempre: i ragazzi mi mantengono giovane! Entrare in classe con il sorriso a volte è difficile, ma stare con i ragazzi mi piace, anche se a volte sono dura con loro. Dopo qualche anno di insegnamento, ho cominciato ad ampliare i miei orizzonti e ad occuparmi del settore Erasmus+ e per questo liceo è cominciato il delirio!”
Viaggiare è un obiettivo non sempre facile da raggiungere avendo una vita, un lavoro, una famiglia. Lei ci è riuscita?
“Ho cominciato a viaggiare quando ero molto giovane, facendo esperienze estive per studiare inglese e francese. Ma andare in posti nuovi, mangiare piatti tipici e conoscere la gente non era abbastanza per me. Arrivata all’Università di Parma, mi sono resa conto di dover partire se volevo passare l’esame di inglese III e di spagnolo quindi, quale migliore occasione? A ventun’anni, con zaino in spalla e biglietto del treno, sono partita per Brighton con una mia compagna di università. Mi ricordo che la notte del nostro arrivo abbiamo dormito in un ostello sporchissimo! Dopo esserci trovate una sistemazione, abbiamo cercato un lavoro e una scuola: lavorando in un pub la sera e andando a scuola la mattina, siamo rimaste tre mesi. L’anno successivo, sempre con lo zaino in spalla, siamo andate in Spagna. Sono riuscita a passare entrambi gli esami.”
Voci di corridoio hanno riportato alla luce il suo passato da karateka. Perché ha iniziato?
“È cominciato tutto mentre facevo ginnastica correttiva per la schiena. Vedevo sempre persone che si allenavano nella palestra di fianco e mi sono innamorata del karate. Mio padre ne era contentissimo. Gli piaceva l’idea che imparassi a difendermi e che mi spingessi oltre per fare nuove esperienze. Immaginate una ragazzina di dieci o undici anni, ancora in crescita, che faceva karate: tutti mi chiedevano se facessi danza! Mi sono rinforzata fisicamente e mentalmente attraverso la disciplina e la filosofia di questo sport fino ad arrivare a ventidue anni, quando sono diventata cintura nera II Dan. Era una fondamentale valvola di sfogo, ne avevo bisogno per scaricare tutta l’energia che avevo dentro.”
Cosa la appassionava del karate?
“Il karate è una disciplina di gruppo, apprezzavo molto l’allenamento ed era divertente lo stare insieme e lo sfidarsi l’un l’altro. Lavoravamo molto e non ci risparmiavamo. La gara era importante, mi piaceva vincere, ma anche quando perdevo non mi abbattevo più di tanto. Cercavo di capire il motivo e andavo avanti. In gara, mi ritrovavo spesso a competere contro quest’altra ragazza, Anna da Bologna. Mi ricordo che mi ha dato un gran filo da torcere! Una volta, in una di queste competizioni contro Anna, non sono riuscita a gareggiare perché avevo mangiato troppo a pranzo e non rientravo nella mia categoria di peso! In un’altra occasione, la bolognese mi ha atterrato, scioccando i miei genitori, venuti a vedermi per la prima volta. La competizione tra me e Anna era alta, ma non posso dire lo stesso di quando gareggiavo contro la mia migliore amica e compagna di viaggi, che aveva cominciato ad allenarsi con me. Contro di lei non c’era gusto, ma non per questo la lasciavo vincere!”
La vita degli atleti è spesso molto piena e può risultare stressante.
“Da ragazza andavo a scuola il mattino, prendevo due tram e quando tornavo a casa mangiavo, studiavo fino alle sei e poi avevo due ore di allenamento. Era sicuramente impegnativo e all’epoca non esisteva nessuna agevolazione per studenti-atleta. Avevo i miei orari, la mia compagnia di amici e mi piaceva andare a ballare. Ero consapevole che avrei dovuto studiare la sera, il sabato o la domenica, ma ne valeva la pena. Forse è anche per questo che sono spesso molto esigente con i miei studenti: lo ero con me stessa quando ero nei loro panni e so che si può fare tutto con la buona volontà. Gli allenamenti più intensi sono cominciati all’università quando allenavo i bambini, gli adulti e contemporaneamente giocavo in una squadra di pallavolo. Crescendo ho cominciato a dedicarmi sempre di più al karate.”
Ha mai raggiunto il limite?
“Probabilmente quando sono dovuta venire via da Milano. Ero una ragazza di diciassette anni che aveva dovuto lasciare la propria scuola, i professori, gli amici, la palestra ed era passata da una grande città ricca di opportunità a una città di periferia come Parma, che non offriva tante opportunità come oggi. Nonostante questo, qui a Parma mi sono subito ambientata in un’altra palestra in cui sono cresciuta tantissimo e che mi ha regalato bellissimi ricordi. Sicuramente anche le sessioni d’esame all’università e le competizioni nel karate erano stressanti, perciò era normale per me farmi un pianto liberatorio quando ci arrivavo in fondo. Ciò che è importante ricordarsi, però, è che lo stress è normalissimo in alcune situazioni e non deve essere per forza qualcosa di negativo, ti permette di fare sempre del tuo meglio.”
Andiamo più nel dettaglio. Qual è stato l’apice della sua carriera nel karate?
“La mia specialità in gara era il combattimento. Quando ci sono stati i Campionati Nazionali a Parma nell’84, sono arrivata terza. Mi hanno chiamato ai Campionati Assoluti di karate e ad allenarmi con la nazionale. Posso considerarlo l’apice della mia carriera agonistica. È stata una grande soddisfazione sia per me, sia per la mia scuola di karate. All’inizio non ci credevo, avevo paura di non essere all’altezza, mi sentivo sfidata. Ancora adesso spesso mi sento così, ma ripenso alla bambina che ero: voglio renderla fiera.”
E dopo?
“Ho partecipato agli Assoluti. Non è andata come speravo, ma sapevo che dopo essere tornata dall’Inghilterra non sarei stata allo stesso livello di quando sono partita. Da pragmatica quale sono, ho dovuto prendere una decisione: sapevo che avrei dovuto finire l’università. Ho continuato comunque a gareggiare a livello provinciale e regionale, ma quando ho cambiato scuola di karate, la mia vita privata e l’università hanno avuto la meglio. Da quel momento non ho più praticato karate, anche se questa disciplina rimarrà sempre nel mio cuore. Lo sport resta ancora oggi una parte importante della mia vita, infatti mi sto dedicando allo yoga. Non avrei potuto praticarla da giovane con tutta l’energia che avevo in corpo, ma ripensandoci, sarei stata ancora più tosta nel karate!”
Giulia Di Mario 1F
Celeste Barbieri 5F