Quando ti trasferisci?

“Complimenti! Non tutti vengono presi al politecnico… Quando ti trasferisci?”

Quando mi trasferisco?

A me piacerebbe avere una data di trasloco, evitarmi quelle due ore di tragitto mattina e sera, cominciare una nuova parte della mia vita in quella che dovrei percepire come la mia nuova città, ma non posso. Non posso, non perché mi mancheranno casa o gli amici, ma perché i prezzi degli affitti sono più di quello che potrei guadagnare con qualsiasi lavoretto part-time da studente.

Sulle pagine dei giornali si leggono titoli da capogiro “Annunci per loculi per studenti”, “800 euro in centro, sui social si vede di tutto” e ancora “Esplode lo scandalo degli affitti folli”. Milano ha fatto scandalo, ma anche Bologna non scherza: “350 euro un divano in affitto, no bagno, no stanza”. Ripeto, 350 euro un divano.

Allora io vi chiedo, qual è il senso di restare in Italia quando, per lo stesso prezzo, posso vivere un’esperienza all’estero che mi darà più sbocchi sul mondo del lavoro?

Non nego che ci siano alcune motivazioni valide per restare: l’Italia è il Bel paese per eccellenza, chi vi si allontana ne sente la nostalgia più di chi parte da qualunque altro paese, quasi vi mancherà anche sentir parlare di quella classe politica che l’italiano medio critica per inerzia, vi dovrete adattare al cibo scadente e a lingue più o meno incomprensibili. Resta il fatto che non ci si deve stupire se assistiamo alla cosiddetta fuga di cervelli, noi i nostri studenti non li aiutiamo a casa nostra.

C’è però chi decide di restare ed è costretto a convivere con i disagi che comporta la vita da pendolare: chi ha frequenza obbligatoria viene penalizzato dagli scioperi dei treni, si fatica più degli altri a creare rapporti umani tra chi frequenta il corso per via degli impegni divisi in due città, non sempre si arriva ad identificarsi nella nuova città e ci si sente estranei, si impiega più tempo a conoscere luoghi e opportunità che la città e la facoltà offrono.

C’è poi invece chi è costretto a trasferirsi per via delle lontananze troppo significative: chi deve tornare nel proprio comune a votare o non vota o perde dei corsi, chi non ha disponibilità economiche mette in crisi la propria famiglia,  che si sacrifica in favore del futuro del figlio, o finisce per allontanarsi quando questa non è disposta ad essere d’aiuto; si è costretti a visitare case i cui annunci erano impressionanti per poi scoprire la triste realtà, ci si trova in sei in un bilocale, stringendosi tra divani letto e brandine aumentando il livello di stress e riducendo la rendita universitaria.

Nessuno dovrebbe sacrificare nulla per l’istruzione. L’istruzione è un bene pubblico, alla base della democrazia quale dovremmo essere. “Dovrebbe”, “Dovremmo”: l’istruzione è sì un dovere, ma anche un diritto.

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