“Perché sei italiana?”
Chi di noi non ha un amico che si considera italiano anche senza cittadinanza? Quanti di loro distinguono le domande “Da dove vieni?” e “Che origini hai?”: alla prima generalmente risponderanno Italia e, solo dopo aver ricevuto uno sguardo dubbioso, capiranno che la vera domanda era la seconda, rispondendo col loro paese di origine.
La costituzione italiana rende difficile ai ragazzi con origini straniere essere considerati cittadini, forse anche più del dovuto. Lotte burocratiche, documenti su documenti e comunque, anche quando questa cittadinanza riesci ad ottenerla su carta per diritto, sembra quasi che non te la meriti, che tu non sia realmente italiano, specialmente se hai la pelle di un altro colore rispetto al classico bianco europeo.
Questo è quello che deve aver vissuto Paola Egonu per arrivare a dichiarare al suo procuratore, Marco Raguzzoni, di volersi allontanare dalla Nazionale; a dire il vero, anche questa volta, la pallavolista non ha questionato il suo essere italiana, ma la sua voglia di continuare a ribadirlo di fronte a un pubblico discriminatorio, che non vede i punti che segna, ma solo il colore della mano che schiaccia sulla palla. “Perché vivo in Italia da anni”, “Perché ho studiato qui”, “Perché sto contribuendo alla buona nomea di una Nazionale che è tanto vostra quanto mia” potrebbero essere alcune delle risposte alla domanda postagli, ma la Egonu è stanca di dover rispondere.
E’ stanca come lo sono i calciatori lesi dalle stesse offese e i loro compagni, entrambi costretti ad assistere alla violenza che avviene nei loro stadi per le medesime futili ragioni, consapevoli del talento dei bersagli di quelle offese. Perché proprio lo sport, che dovrebbe unire sotto un’unica passione, se non addirittura sotto un’unica squadra, è segnato da rotture etiche a tal punto da far diventare violenti i tifosi? I cori razzisti e gli striscioni discriminatori, per questo, sono stati definiti più volte come “il fallimento dello sport” e hanno messo in imbarazzo gli stessi organizzatori degli eventi, coscienti che la strada verso la parità e la non violenza sarà ancora lunga.
“Ma le hanno dato il ruolo di portabandiera alle olimpiadi solo per sembrare progressisti, perché è nera”. Questa frase ci ricorda tristemente le polemiche intorno al film della Disney, La sirenetta, che avrà per protagonista un’attrice di origine africane: sì, il personaggio era del mare del nord, tanto da diventare la statua simbolo di Copenaghen, ma è anche vero che le sirene teoricamente non esistono, quindi Ariel potrebbe aver avuto la pelle bianca o nera quanto verde o blu. Il dibattito riguardo l’attribuzione degli incarichi sulla base etnica o dell’orientamento sessuale è acceso ormai da anni. Lo troviamo principalmente su Netflix che sforna serie tv ricche di cliché come l’amico gay che non rappresenta affatto la comunità gay perché stereotipato o l’amico di colore che negli horror è sempre il primo a morire, perché bisognava inserirlo solo per non sembrare razzisti. Allo stesso tempo però, non si può trascurare la visibilità che alcune serie tv offrono ad alcune minorità che ne hanno ancora tristemente bisogno per farsi valere.
Per quanto il dibattito possa risultare sociologicamente interessante, la risposta resta la stessa: no, quel ruolo Paola Egonu se lo è guadagnato con tutte le partite giocate per la nostra Nazionale, con tutti gli allenamenti per cui ha sacrificato altri aspetti della sua vita, con tutte le lotte contro le discriminazioni a favore di chi ancora non è arrivato al suo livello e ancora non ha voce. E di colpo la soluzione al dibattito tra chi sia più razzista tra chi integra le minorità tanto per farlo o chi suggerisce di evitarlo se queste sono le condizioni, diventa più logica del previsto: potremmo sostenere di aver vinto il razzismo solo quando questo dibattito sarà spento, quando sì, noteremo la differenza di colore tra gli attori e gli sportivi, ma questa smetterà di essere argomento di discussione.
Non sappiamo ancora se Paola Egonu lascerà effettivamente la squadra o se, quella della campionessa, sia stata solo un’affermazione affrettata, alimentata da razzismo e sofferenza. Quello che sappiamo è che ognuno ha il proprio motivo per considerarsi italiano e ognuno di questi è valido.
Foto da Repubblica