Se dovessi fare un discorso davanti ad un pubblico parlerei della lingua dei segni, o meglio, con la lingua dei segni. Sono Jane, Jenny per gli amici, e sono sorda, perché affetta da disfunzione dell’apparato uditivo. Quello che state leggendo l’ha scritto Katia traducendomi (spero senza errori): lei parla la mia lingua, la LIS, che è quella italiana; anche se di lingue come la mia ce ne sono tante (ASL americana, LSF francese, DGS tedesca, JSL giapponese) almeno quante sono le vostre.
La LIS è stata inventata da Mr. Stokoe nel 1960 e le sue parole cambiano in base a quattro parametri: il modo in cui si mettono le mani, dove si segna, il movimento che si fa e l’espressione della faccia. A volte, quando si è fortunati e chi ti parla lo fa lentamente, basta leggere il labiale per capire, ma non sempre funziona. Secondo me, la LIS, la dovrebbero imparare tutti, così Katia non mi dovrebbe più seguire ovunque. Non è difficile: io so dire tutto quello che mi serve e ho solo 10 anni. Provo ad insegnarvi il mio segno preferito: mano destra chiusa a pugno davanti al petto, mano sinistra aperta con il palmo sopra al pugno, ora fate dei cerchi in senso orario sfregando la mano aperta sul pugno chiuso, avete detto famiglia. Questa famiglia è quella composta dai genitori, dai fratelli, dai nonni e chi più ne ha più ne metta, ma io mi sento parte anche di un’altra famiglia ben più grande, composta da circa 850 mila persone nel mondo, quella dei sordi.
Essere sordo implica molti problemi, la maggior parte dei quali creati involontariamente da chi ci parla, come quando chiediamo di ripetere: alcuni si spazientiscono e altri alzano la voce pensando di farsi sentire meglio. Non bisogna poi dimenticarsi che non siamo muti, è solo che non riusciamo a ripetere i vostri suoni senza mai averli sentiti, e che anche se stiamo zitti viviamo nello stesso mondo facendo, vedendo o provando cose con lo stesso nome.
Senza udito non posso seguire le battute di un film, assistere ad uno spettacolo o mettermi le cuffiette per sentire la musica; che poi le cuffiette potrei anche mettermele, ma non sarebbero quelle che dite voi… Mio papà le chiama impianti cocleari, ma non mi va di farmi operare per sentire qualche parola in più, non per adesso almeno, tanto c’è sempre Katia e comunque mi fido di quella Sara Gerini, che ha fondato l’associazione ” Facciamoci sentire” e che si batte per far mettere i sottotitoli ovunque, perché sì, anche i sordi sanno leggere.
Per quanto riguarda questa parte della mie capacità, la scuola non mi ha mai aiutato tanto dato che, so che sembrerà incredibile, non ho mai avuto l’interprete per più di 10 ore settimanali e Katia, avendo un altro lavoro, non può venire con me anche a scuola.
Ora scusatemi, ma devo proprio andare a dormire. Tutto questo gesticolare mi ha fatto venire un gran sonno.
Cleo Cantù