New York: città delle contraddizioni e dei paradossi. Da una parte persone che per il loro peso a fatica riescono a muoversi, e dall’altra i senzatetto.Tre sono le emozioniche ti prendono, a turno, durante il tuo soggiorno: la iniziale esaltazione, (sei a New York City!); la successiva indignazione per il paradosso precedentemente accennato; la rassegnazione al non poterle resistere: te ne innamori, nonostante tutto.
Ti basta visitarla anche solo una volta, per capire che equivale a sentirsi parte integrante di un film: ti guardi intorno e da un momento all’altro ti assale la paura di una qualche improvvisa invasione aliena, come in Independence Day; vai alla Central Station e ti rivedi in Madagascar; passeggi per la Fifth Avenue e ti senti in Colazione Da Tiffany; la Statua della Libertà (che nel panorama americano appare bassina, con i suoi 93 metri d’altezza) ti rimanda alla celebre scena de Il Pianeta delle Scimmie. L’Empire di King Kong, le persone che fanno jogging in Central Park come in Sex And The City, la Biblioteca Centrale di The Day After Tomorrow, gli scuolabus di Spiderman, i quartieri residenziali di ogni commedia che si rispetti (con tanto di canestro nel retro e giornale all’inizio del vialetto): tutto contribuisce a farti immergere nella surreale atmosfera cinematografica: sei a New York.
Poi per caso accade che ti ritrovi al Ground Zero, ai piedi della Freedom Tower. Non c’è spazio per la finzione cinematografica e per i film mentali, nella zona-simbolo della caduta delle Torri Gemelle. Ti senti soffocare dall’atmosfera di angoscia e mortificazione, nonostante la giornata di sole, il verde dei prati, le panchine, gli alberi in fiore – tutto al fine di rendere il luogo il più bello e onorifico possibile; c’è silenzio nonostante il traffico, i clacson, gli schiamazzi: silenzio che persiste da quindici anni. Le due gigantesche fontane, costruite sulle basi delle due torri, riportano i nomi delle tremila vittime. Puoi provare a sporgerti, ma non vedrai dove l’acqua finisce: metafora della fragilità delle vite umane, e dell’ignoto che ne consegue.
Al College ho chiesto alla mia insegnante una parola con cui descrivere l’11 settembre, e lei si è commossa. Ci ha raccontato di come molte persone non siano più tornate nella città, o di come non abbiano il coraggio di attraversare il tunnel che divide il New Jersey e New York, per paura che qualcuno lo faccia crollare. Afferma: “Se vuoi una parola, non te la so dare, non esiste niente di così forte e doloroso che renda l’idea di com’è sentire minacciata la propria libertà e la propria Nazione. Niente e nessuno può portare via la libertà all’America, niente e nessuno, mai! Ed è la vostra generazione che deve cambiare il mondo: la mia ne ha combinate già abbastanza”. Continua dicendo come la sua città, la “crazy busy New York City” sia diventata fredda e diffidente, di come non ci sia più spazio all’amore fra americani, e di come l’amore patriottico si sia rivelato unidirezionale. E in effetti è proprio così: ovunque ti giri, trovi una bandiera.
Insomma, se persino una (come me) che disprezza la città, l’inquinamento e gli ingorghi (aspetti elevati all’ennesima potenza, a New York) è riuscita ad amarla, fidatevi, ce la farete anche voi. Forse avrete nostalgia delle alture, dei borghi, del buon cibo, delle Fiat, ma, garantisco, è un landmark (tappa fondamentale) nella vita del viaggiatore. Esatto, non potete perdervela.
Giorgia Zantei