“La Ferrovia Sotterranea” e una tragedia dimenticata

Cosa è peggio di dimenticare una tragedia? Probabilmente restarne indifferenti, considerarla troppo lontana nella storia perchè si ripeta, ma sono solo delle ipotesi. Qualsiasi sia la vostra risposta, in “La Ferrovia Sotterranea” Colson Whitehead si impegna a narrare il dramma dello schiavismo negli Stati sudisti, quando le persone potevano essere proprietà di qualcun altro, e chi tentava di ribellarsi, di fuggire, finiva linciato in pubblica piazza, e lasciato lì a marcire. E se noi italiani non ci sentiamo abbastanza vicini a questa fase della storia americana, questo non significa che non sia mai esistita.

“La Ferrovia Sotterranea” è a tutti gli effetti un romanzo storico, il primo dopo vent’anni a vincere il Premio Pulitzer e il National Book Award in contemporanea. Destinato a diventare un classico, a mio avviso sconvolgente, straziante con il suo incatenarsi di eventi che seguono alla fuga di Cora, la nostra eroina protagonista. Lei è una ragazza come tante altre, con la stessa sensibilità, ma con un coraggio e una forza non indifferenti, con cui affronta la vita in cui è stata “gettata”.

In questo libro non esiste la giustizia, non esiste il Karma, e il lieto fine è soltanto relativamente tale. Le frasi secche e taglienti con cui Colson decide di impostarlo hanno tutta l’aria di rifarsi alla vita delle persone di colore a quel tempo, insensatamente amara. Colson ci ricorda ciò che abbiamo dimenticato, quello che è stata l’America quando era dilaniata tra schiavisti e abolizionisti.

Colson Whitehead, Bryant Park, New York City, 2007
Colson Whitehead, Bryant Park, New York City, 2007

“Da vecchia avrebbe letto della Grande Guerra in Europa e avrebbe pensato a quella notte. […] Il conflitto europeo poteva essere senz’altro terribile e violento […] ma lei aveva da ridire sul nome. La Grande Guerra era sempre stata quella fra i bianchi e i neri. E lo sarebbe sempre stata.”

Tendiamo a dimenticare certe tragedie perché ci sembra siano lontane anni luce da noi (si parla ben di metà Ottocento!); ma i linciaggi degli uomini di colore sono continuati fino agli anni ’40 e ancora oggi uomini innocenti vengono malmenati dalla polizia per false accuse. No, così come la brutalità dell’uomo, neppure questo è cambiato.

E i gulag russi, le foibe, e la shoah di metà Novecento? Sono qualcosa che i nostri nonni possono prontamente testimoniare ancora oggi. Incolpare gli uomini del passato per la loro arretratezza equivale a giustificarli, e non è una cosa che sono pronta a fare. Perché non è passato, è la brutalità dell’uomo che ha solo cambiato forma. E non sono pronta a giustificare nemmeno gli Stati che lasciano fare: così hanno fatto l’Inghilterra e la Francia quando Hitler aveva invaso la Cecoslovacchia nel 1939; così stanno lasciando fare tutti coloro che rimangono indifferenti ai bombardamenti in Siria.

Ecco perché desidero ricordare e imparare dagli errori del passato; e non restare mai indifferente. Ecco perché desidero parlare il più possibile con i miei nonni, farmi raccontare, discutere del nauseante ripetersi della storia. Nella speranza che il mondo cambi; e che ognuno di noi impari l’importanza della vita altrui.

Giorgia Zantei

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