I colori del futuro che vogliamo

Ladri. Clandestini. Extracomunitari. Sostituzione etnica. Queste sono le parole rivolte a persone che ogni giorno giungono in Italia e in tanti altri paesi con la speranza di un futuro migliore. Affrontano un viaggio infernale, sospesi tra la vita e la morte, e noi li condanniamo per il colore della loro pelle. Li abbandoniamo in mare ad affogare. Sono bambini che amano giocare, genitori che vogliono una vita migliore per i figli. Sono persone.

Quando gli italiani emigrarono in massa furono trattati come animali: “Vietato l’ingresso ai cani e agli italiani” si leggeva fuori dai locali. Per questo, noi ci indignammo, giustamente; allora, perché non ci indigniamo quando persone che respirano come noi, vivono come noi, vengono abbandonate al loro destino? Perché è così difficile capire l’altro?

A questo proposito, nella classe 3F il 20 Novembre 2024,  Cleophas Adrien Dioma ha raccontato la sua storia di migrante arrivato in Italia, con l’aiuto di Enrica Pizzarotti della Fondazione Pizzarotti di Parma.

Adrien, scrittore e manager, è giunto in Italia dal Burkina Faso nel ’98 in clandestinità. Arrivato alla stazione di Milano, dove ha dormito per due settimane, incontrò il primo grande problema: non parlava italiano, ma, soprattutto, era un uomo di colore in una società con prevalenza di bianchi. Da qui è cominciata la sua Odissea. Prima il lavoro da bracciante nella Calabria, dove non è mai stato pagato; infatti, una sera degli uomini spararono due colpi nella casa in cui dormiva con altri braccianti. Questo li spaventò a tal punto da scappare senza ottenere un pagamento. Cosa lo salvò quella sera? Un mal di denti, che lo svegliò facendogli sentire la moto, così da ripararsi all’ingresso dell’abitazione. Venne poi il problema dei documenti: essere clandestini è come non esistere. Riuscì a falsificarli e a ottenere  senza problemi il permesso di soggiorno a Napoli. Dopo che la giustizia scoprì i documenti falsi dovette patteggiare e rimase in libertà a condizione di rimanere pulito per cinque anni: non poteva permettersi neanche una multa sull’autobus.

Solo la scrittura lo ha salvato. E la scrittura è il suo mestiere. Inoltre, a oggi è il direttore artistico del Festival Africano. Il suo obbiettivo è raccontare l’Africa, perché non è solo il continente della fame e delle guerre, ma anche un luogo di culture e tradizioni diverse tra loro e da quelle europee.

Cleophas si è soffermato su cosa l’uomo intende per “Normalità”. La definizione che Treccani da a questa parola è:

Carattere, condizione di ciò che è o si ritiene normale, cioè regolare e consueto, non eccezionale o casuale o patologico, con riferimento sia al modo di vivere, di agire, o allo stato di salute fisica o psichica, di un individuo, sia a manifestazioni e avvenimenti del mondo fisico, sia a situazioni (politiche, sociali, ecc.) più generali.

Ne deriva che non esiste una normalità universale, ma cambia di Paese in Paese. Lo stesso Adrien ha spiegato che, quando ha portato gli amici bianchi in Africa, i bambini scoppiavano a piangere nel vederli. Questo è la normalità: ciò che vediamo e sentiamo tutti i giorni. Non dipende da dove si nasce o dalle origini dei genitori, ma dalla realtà in cui si cresce. Lo scrittore riporta, infatti che, parlando con ragazzi di seconda generazione, ha capito che loro si sentono italiani e vogliono vivere come i loro coetanei. Invece, i genitori cercano alle volte di portarli sulla strada che loro stessi vogliono o pensano sia meglio per i figli. Forse questa è una delle caratteristiche che più accumuna le diverse Nazionalità.

Un altro problema riguarda proprio i ragazzi di seconda generazione: ad oggi in Italia i ragazzi con genitori stranieri possono avere la cittadinanza a 18 anni. Prima di quell’età non possono andare all’estero, nemmeno per una gita scolastica, non solo rimanendo esclusi da un’attività di classe, ma perdendo anche un momento formativo parte del programma scolastico. Le nuove proposte di cittadinanza sono diverse; in particolare lo Ius Scholae potrebbe aiutare i ragazzi, perché prevede solo di completare un ciclo scolastico di cinque anni. Questo li integrerebbe più facilmente, migliorando la loro vita e arricchendo la società in cui vivono.

Lo scrittore ha voluto anche evidenziare l’Intervento del Ministro dell’istruzione Valditara, il quale ha accusato gli stranieri di violentare le donne all’inaugurazione della fondazione dedicata a Giulia Cecchettin (uccisa da un ragazzo bianco e italiano).

“occorre smettere di non vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da un’immigrazione illegale”.

Queste le sue parole, nonostante sia provato che la maggior parte delle violenze in famiglia e dei femminicidi avvengono da parte di italiani.

Com’è possibile costruire una società basata sull’integrazione se gli stessi uomini al governo usano queste parole? E come possiamo permettere che ancora governino, dopo queste affermazioni? Un mondo in cui non si tema il diverso, un mondo in cui l’accoglienza sia la normalità, è possibile, ma va costruito, con le parole e i gesti quotidiani. Questo mondo nascerà da ognuno di noi, se solo vorremo costruirlo.

 

Elena Notari 3F

Foto fornite dalla professoressa M. Fornari (www.ispionline.it) , da https://pxhere.com/it/photo/15571939

in copertina, foto dalla pagina fb di Cleophas Adrien Dioma

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