Tutto quello che non sapete su… Leonardo Barbarini

Innanzitutto presentati e raccontaci un po’ di te.

Mi chiamo Leonardo Barbarini e nasco elettrotecnico fuori dall’ITIS e per i dieci anni successivi lavoro prima come collaudatore e poi nella grafica e web design in un’azienda di automotive, grazie alla quale scopro il mestiere del programmatore. Successivamente conosco questa cooperativa che vuole farmi provare a fare formazione, per cui ho provato a lanciarmi nelle scuole, nelle piccole associazioni… e fortunatamente mi sono trovato bene, mi è piaciuto molto e mi sono reso conto che avevo “un’attitude” a questo tipo di insegnamento: a stare in mezzo alla gente (anche giovinastri come voi) e a trasmettere le mie passioni che sono programmare, fare grafica e comunicazione visiva.

Negli ultimi periodi ho iniziato a calare un po’ la formazione e sono tornato a riaprire la mia parte di impresa di sviluppo e programmazione, soprattutto perché sto iniziando ad aprire un ramo di impresa tutto sulla realtà virtuale (ambienti virtuali e modellazioni 3D), strumento che sto cercando di portare anche a scuola attraverso l’uso di visori VR.

Ci puoi raccontare qualche cosa sulla tua infanzia, adolescenza, magari qualche aneddoto collegato al lavoro che svolgi adesso….

Fin da piccolo, da quando mi hanno preso il primo Nintendo nell’89, e ho detto “che belli i videogiochi”: con questo joystick e con questi tasti posso decidere cosa succede dentro al televisore…  e quindi mi sono detto che da grande volevo fare i videogiochi. Questo succedeva appunto nell’89 quando avevo sei anni. A dieci anni sono riuscito a farmi regalare il primo computer (non ringrazierò mai abbastanza i miei genitori) e ho capito che dentro c’era un programmino che si chiamava “Basic”, con il quale potevo programmare io dei giochi; mi sono messo a programmare dei giochini dai 10 ai 14 anni, poi da lì ho conosciuto altri pazzi come me e le notti le passavo a programmare dei videogiochi stupidi con questo linguaggio che è il Basic.

Mentre i nostri coetanei andavano in giro per discoteche a 16 anni, io e il mio best stavamo in cortile appoggiati ad un tavolo con la prolunga a programmare al computer.

Come pensi che le tecnologie, in particolare l’intelligenza artificiale, danneggino i ragazzi? E come pensi invece che possano sfruttarle al meglio?

Sostanzialmente (come ho già detto in un articolo su Casco Magazine), tutto ciò che è strumento, usato bene e con consapevolezza, è sempre un buono strumento. Anche una pistola è un buon strumento, se mi serve: se devo sfondare una porta perché sono chiuso in una stanza e la prendo dalla punta e martello contro la serratura, intendo dire. L’intelligenza artificiale generativa è la cosa che mi ha fatto stupire di più nella mia vita da appassionato di tecnologia; mi sono stupito per la prima volta veramente, quando ho visto cosa poteva fare un GPT, un generatore pre-addestrato, come ChatGPT, per capirci. Questo perché tu gli parli e lui ti risponde e sa simulare e mostrare comportamenti umani.

Parlando dei ragazzi penso che un ragazzo consapevole possa avere circa 15/16 anni, perché prima siamo ancora un po’ in balia del nostro momento di crescita, quando dunque comincia a solidificarsi il corpo calloso nel cervello e si comincia a dire: ok, nella mia vita questo serve a questo, questo serve a quest’altro, l’intelligenza artificiale può essere utilizzata consapevolmente con la funzione di aiuto e supporto: se ti avvicini allo strumento e sai cosa stai facendo e cosa gli stai chiedendo, capisci che può davvero aiutarti. Se poi vogliamo dirla tutta, anche gli adulti spesso ne abusano: questo è il caso dell’America dove alcuni mollano la psicoterapia e si mettono a chiedere consigli a ChatGPT, perché ChatGPT ha studiato su tutte le diagnosi e tutto lo scibile umano. Questo è un uso sbagliato, perché si tratta di uno strumento che fa finta di essere un psicoterapeuta, ma non può esserlo davvero. Questi strumenti non possono essere empatici, fingono e basta quindi se stiamo fuori dal mondo dell’emozione umane e lo usiamo solo come strumento di racconto, pianificazione, analisi e calcolo può essere davvero utile.

Tornando a parlare di te, cose un po’ più leggere, curiosando sul tuo profilo instagram abbiamo visto che hai una passione per le moto, per i cani…

Che stalker! Comunque per 20 anni della mia vita ho avuto una passione per la musica, e durante questo periodo ho suonato il basso in tributo a Fabrizio De André, ai Led Zeppelin e a tanti altri; ora suono ancora ogni tanto, anche se di meno.

Ho una moto del 1991, un 125 che usavo per venire all’ITIS quando andavo a scuola, e adesso ultimamente ho usato la stessa moto per venire qui al Bertolucci: questa Cagiva Mito che compie quest’anno 33 anni. Ma le mie vere passioni, il vero succo della vita quando uno non lavora, sono: cane, divano, e serie TV con mia moglie, farci da mangiare, coccolarci insieme al cane e mettere su una bella serie (soprattutto quelle Americane anni 80/90 tipo Friends e altre sitcom).

C’è qualcosa che vorresti ancora raggiungere a livello personale, qualcosa che hai in programma?

Certo, ho trovato in un biscotto della fortuna un bigliettino che diceva: “la tua esperienza pavimenterà la strada per il tuo successo”, l’ho appiccicato al monitor e mi sono messo a buttar giù le basi per questo ramo d’impresa che è la virtualizzazione di ambienti. Il mio futuro lavorativo è far in modo che le persone non abbiano paura della realtà virtuale, far capire loro che non esiste il metaverso e che è solo uno specchietto per far si che la gente martelli sui giornali lo spauracchio di questo. Penso che mettere in faccia un visore a, per esempio, una persona allettata all’ospedale, o a una persona che non può muoversi, o a un professore che vuole fare un esperimento di fisica che non può realizzare dal vivo, o a un artista che vuole far sperimentare agli ascoltatori la sua musica intorno a loro, non sia una cosa di cui aver paura, e la mia sfida adesso è quella di portare avanti questa idea.

Che tipo di studente eri?

Mi ha detto una prof qui al Bertolucci di non dire mai a nessuno i voti che avevo all’ITIS, le avevo mandato una foto della mia pagella: insomma ero una frana totale, perché era il periodo in cui iniziavo a scrivere canzoni con i miei amici che venivano volentieri con me al bar al mattino, perciò ero un assenteista e mi mancavano molti voti, non dico altro!

A 25 anni quando in un’azienda mi hanno chiesto di calcolare il peso di un solido di rotazione per una tornitura, ho capito finalmente a cosa servivano gli integrali e me li sono ristudiati… Sette anni dopo aver finito la scuola ho scoperto che la matematica in realtà mi piaceva molto.

Quale consiglio vorresti dare ai ragazzi di oggi?

Se posso dare un consiglio a tutti i giovani o meno giovani, sappiate che qualunque passione avete, è una competenza, una capacità, che se portata avanti con passione, diventa un elemento nel vostro curriculum, quindi seguite le vostre passioni e pensate che tutto serve.

Intervista e foto di A. Ronchini, B. Agnetti, A. Zocco 3F

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