Jazz fusion

Black Midi - Hellfire :: Le Recensioni di OndaRock

Hellfire

ARTISTA: black midi

GENERE: Jazz Fusion, Progressive Rock

DURATA: 10 canzoni, 38min 58sec

DATA DI PUBBLICAZIONE: 15 Luglio 2022

 

Hellfire è secondo molti il miglior album dello scorso anno. Qualsiasi idea voi abbiate di jazz, dimenticatela, perché il jazz in questo album vi verrà mostrato da una prospettiva completamente diversa, mischiata a tantissimi generi diversi fra loro: in questo album il jazz è più oscuro, in scale minori e accordi dissonanti, ritmiche convulse, caotiche e in tempi dispari; accompagnato da momenti melodici tipici del jazz più classico, ma anche da riff aggressivi tipici del punk e del metal, vari cambiamenti di genere tipici del progressive, rappate velocissime provenienti dall’Hip-Hop, ritmiche che vengono direttamente dal folk e dallo ska. Il giovane gruppo inglese è riuscito a creare un capolavoro unico nel suo genere. Ascoltare Hellfire è come guardarne la copertina: caotica, oscura, folle, ricca di particolari.

Hellfire musicalmente attinge da talmente tanti generi che è come se non appartenesse a nessuno di essi, ascoltare questo album è come stare su una montagna russa velocissima che attraversa tutti i gironi infernali e gli abissi della follia, regalandoci un’esperienza allucinata e surreale.

I black midi sono stati capaci di portare alla luce un progetto dalle infinite sfaccettature. Nonostante l’inaudita complessità compositiva che ha richiesto questo album, e nonostante la difficoltà di ascolto che essa può richiedere ad un orecchio meno esperto, me compreso, i 40 minuti di ascolto sono pregni di comicità e ironia, come se  Hellfire fosse una recita cabarettista. Nell’album infatti troviamo diverse critiche sottili alla società, che a volte vengono quasi recitate, conferendo al disco una sfaccettatura quasi teatrale.

Hellfire è la rappresentazione uditiva e visiva del caos, vi è una completa reinterpretazione del concetto di musica e armonia, le melodie sono completamente destrutturate e arrangiate in ritmiche febbrili.

Il disco si apre con Sugar/Tzu, e già da questo primo brano possiamo notare la capacità musicale dell band. La cacofonia presente nei brani a volte è quasi comica e stravagante, ma rimane controllata ed usata molto intelligentemente. Come nella musica classica infatti, ogni suono è rappresentativo di qualcosa, ed ogni melodia ha uno scopo narrativo spesso più importante dei testi dei brani, anch’essi complessi.

La teatralità della musica di questo album è dimostrata anche dal fatto che ogni brano è collegato e continua nel successivo, conferendo all’ascolto per intero una continuità esperenziale sia sonora che narrativa. I temi dell’album infatti sono sempre ricorrenti, come la critica alla società, o riflessioni sulla morte e sulla caducità della vita, raccontati tuttavia in chiave comica tramite l’utilizzo di storytelling di personaggi folli e immaginari.

Hellfire è un album folle ma allo stesso tempo estasiante e formidabile, innovativo e complesso, strutturato ma allo stesso tempo caotico, melodioso e cacofonico, pauroso e ammaliante, divertente e comico, ma anche sconcertante.

Un ascolto complesso ma che sicuramente riuscirà a regalare tante emozioni a coloro che vogliono salire su questa montagna russa infernale.

 

Seychelles (album) - Wikipedia

Seychelles

ARTISTA: Masayoshi Takanaka

DURATA: 8 canzoni, 40min 21sec

GENERE: Jazz Fusion

DATA: 1 Luglio 1976

 

“Oh! Sono fortunato!” con queste parole inizia il viaggio di Masayoshi Takanaka verso le isole Seychelles, che non rappresentano per lui solo una paradisiaca meta turistica, bensì sono una metafora per rappresentare il suo futuro, che chissà cosa gli riserverà. È quindi desiderio di questo artista portare l’ascoltatore in viaggio assieme a lui, attraversando canzoni che sprigionano un’incredibile energia e soprattutto fanno venire voglia di vacanza; attraverso infatti ai suoni del jazz, del rock e all’aggiunta di qualche suono tropicale, vengono proprio evocate nella mente le immagini di spiagge, mare, palme ecc…

Questo risultato delizioso può esser stato raggiunto grazie al grandissimo talento di questo musicista giapponese, appunto Takanaka, la cui virtuosità di chitarrista, percussionista e compositore hanno avuto un ruolo chiave nella scena jazz internazionale; egli è infatti considerato un pioniere del Jazz Fusion, che si proponeva come un rinnovamento del jazz tramite l’aggiunta di elementi dal funk, rock e blues, aiutandone lo sviluppo principalmente in Giappone, paese in cui negli anni si susseguiranno altri eccelsi artisti del genere, ma anche a livello internazionale.

L’album è semplice e piacevole da ascoltare in qualsiasi contesto, sia che si voglia uscire a fare una passeggiata sia che si voglia schiacciare un pisolino immaginandosi di essere su una spiaggia; consigliato vivamente a chiunque, soprattutto agli estimatori del genere che sicuramente sapranno coglierne appieno l’originalità e la bellezza.

 

Bitches Brew : Davis Miles: Amazon.it: CD e Vinili}

Bitches Brew

ARTISTA: MILES DAVIS

GENERE: Jazz fusion, rock

DURATA: 7 canzoni, 106 minuti

ANNO: 1970

 

“Bitches Brew” è un album rivoluzionario che ha ridefinito il suono del jazz e ha influenzato la musica per decenni successivi. Pubblicato nel 1970, è stato un album che ha diviso il pubblico e ha scatenato un dibattito tra i critici musicali dell’epoca. Lo troviamo secondo negli album jazz più venduti nella storia, secondo solo a “Kind of Blue” dello stesso Miles Davis.

Miles Davis ha abbandonato il suo precedente stile jazz acustico per abbracciare un suono elettrico e sperimentale, creando un paesaggio sonoro completamente nuovo. L’album presenta un insieme di jazz fusion e rock psichedelico, che sfida le convenzioni musicali e sfida l’ascoltatore a seguirla. Per questo cambio di sonorità, che porterà l’album da una parte ad essere criticato dai vecchi fan ma dall’altra ad essere acclamato da molti nuovi fan, si ispira ad artisti di grande importanza al tempo, tra cui Jimi Hendrix, considerato uno dei capi della musica psichedelica anni 70. Da questi artisti impara ad usare gli strumenti elettrici, mai usati prima d’ora nel jazz, creando un opera che trascende tempo e spazio.

La title track, “Bitches Brew”, è un’epica di 27 minuti che inizia con un’introduzione sinistra e misteriosa che si sviluppa in una cascata di suoni complessi, improvvisazioni di chitarra e batteria, e un coro di strumenti a fiato. “Pharaoh’s Dance” è un’altra traccia straordinaria, caratterizzata da una linea di basso ipnotica e una batteria tribale che costruiscono una tensione emotiva fino alla sua risoluzione finale.

Il sound di “Bitches Brew” è oscuro, denso e complesso, ma anche estremamente avvolgente. Miles Davis e la sua band si divertono a sperimentare con diverse strutture musicali, usando il looping e l’overdubbing per creare un effetto di stratificazione e di crescendo che spinge l’ascoltatore oltre i confini del jazz tradizionale.

In definitiva, “Bitches Brew” è un album rivoluzionario e una pietra miliare della storia della musica. Sebbene possa essere difficile da affrontare per gli ascoltatori abituati al jazz più convenzionale, è un’opera di grande bellezza e profondità che continua a influenzare la musica di oggi. Consiglio vivamente di ascoltarlo e di scoprire da soli la sua grandezza.

 

Samuele Argento, Filippo Carmeni, Alessandro Ferri

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