Com’è possibile?

Com’è possibile? La domanda che riassume sconforto, sconcerto e impotenza. 

 

Come è stato possibile?

Com’è stato possibile che tutti sapessero e nessuno si ribellasse?

Com’è stato possibile che tutti vedessero e continuassero a guardare?

Com’è stato possibile che i simili si rivoltassero contro i simili e non contro chi li aveva classificati come tali?

Com’è stato possibile tornare a casa, abbracciare figli e mogli, sognare tranquilli, quando per lavoro impedisci ad altri uomini di farlo?

Com’è possibile?

Sembra non ci sia risposta, eppure è successo.

 

I contadini tentavano di convincersi che il lavoro dei prigionieri della grigia fortezza sulla collina avrebbe aiutato la loro sussistenza. Non erano interessati alla costruzione degli imponenti monumenti hitleriani; non erano interessati alle sofferenze di quegli uomini pericolosi per la patria; non erano interessati.

La proprietaria della fattoria che affaccia sulla cava di Mauthausen aveva denunciato i maltrattamenti, chiedendo che venissero almeno nascosti perché i suoi nervi non avrebbero retto ancora a lungo la vista. I suoi nervi. Non le loro anime.

Dentro al campo era meglio essere diversi che simili. Era meglio ottenere l’attenzione di un kapò per diventare uno dei detenuti diversi, quelli privilegiati. Era meglio tacere e trarne nutrimento che difendersi da uno stupro dei superiori. Era meglio evitare che dentro al campo i prigionieri si sentissero simili. Ognuno aveva le proprie colpe. I propri motivi per essere lì. Il proprio brandello di tessuto colorato che andava esibito quanto il berretto durante l’appello.

Le anime sofferenti sono più facili da controllare se ci si sente diversi, legittimati a farlo. Ed è più facile sentirsi diversi se tu sei fuori in una piscina coi tuoi colleghi e loro sono dentro tra una cava di granito e una stanza congelata.

È più facile discolparsi quando non devi entrare dentro al campo perché della logistica interna se ne occupano i detenuti stessi. È più facile per la coscienza accettare il lavoro di SS quando l’alternativa è morire al fronte; si preferisce sempre la morte di altri alla propria.

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