I libri di Francesca Mannocchi – Questa è l’acqua

Francesca Mannocchi, giornalista e documentarista italiana, è stata ospite al festival “Questa è Acqua”, organizzato dallo scrittore Paolo Nori a Parma; il festival chiedeva a illustri personalità del mondo dell’arte di proporre al pubblico i libri su cui si sono formati.  Mannocchi racconta, in apertura di conferenza,  di aver messo in valigia qualche libro,  scelto in base alle esperienze che ha vissuto nell’ultimo periodo: questi testi apparentemente non hanno a che fare con la guerra – ambito del quale si occupa quotidianamente – ma con il suo metodo di scrittura e di giornalismo, basato su dubbi e interrogativi.

Partendo da questa premessa, vi presento le “letture di vita” di Francesca Mannocchi.

Prima di partire per un viaggio, la giornalista inevitabilmente si trova a studiare cosa si troverà davanti, ma quando si tratta di fare la valigia, un posto è sempre riservato alla poesia. In particolare la raccolta Antenata di Mariangela Gualtieri, e il suo Monologo del non so. 

La poesia, spiega,

“ha un’esattezza irreplicabile: riesce a dire in una frase ciò che la nostra prosa riempie di aggettivi perché non sa cosa dire.” 

Quando si trova in una situazione complicata, la Mannocchi afferma che la prima cosa che si chiede è come fare per portare i lettori lì con lei attraverso la scrittura,  ma si può dire o descrivere tutto? Esistono delle parole che ne sono in grado?  Come può chi non ha fatto esperienza della guerra, capire ciò che significa? Le stesse domande che un’altra scrittrice fondamentale per la formazione della giornalista si è posta. L’autrice in questione è l’austriaca Ingeborg Bachmann, nata e cresciuta in un contesto familiare e sociale simpatizzante nazista.

Nelle sue conversazioni registrate con l’amante Paul Celan – trascritte nel libro Troviamo le parole – Ingeborg si chiede se esistano parole per trasformare la realtà e redimere gli uomini dalle azioni commesse. La Bachmann svilupperà la sua riflessione sull’utilizzo della lingua come strumento di comprensione del mondo in un ciclo di conferenze universitarie tenute a Berlino – riportate in Letteratura come utopia – e in una serie di conversazioni radiofoniche come ospite presso un emittente viennese – Il dicibile e l’indicibile. Saggi radiofonici -.

In particolare, una lezione universitaria della scrittrice austriaca ha portato Mannocchi a riflettere sull’importanza di fare domande. Solitamente, nessuno premia per aver posto domande intelligenti, ma solo per aver dato risposte corrette. Il problema è che con queste ultime non si cambia il mondo, cosa che si può fare invece con le domande giuste.“Abbiamo smesso di fare domande vincolanti, abbiamo reso le parole inoffensive”. Ma a cosa serve la letteratura, se non è scomoda, se non ci pone davanti alla cruda realtà? Se non prova a nominarla?

Mannocchi cita a questo punto una scrittrice premiata per aver posto domande giuste e aver trasformato “storie minuscole” in letteratura, il premio Nobel 2015 Svetlana Alexievich. Della giornalista bielorussa, la Mannocchi consiglia La guerra non ha un volto di donna, anche se, in generale, “non si può fare a meno di un libro di Alexievich”; interessante è proprio il suo metodo di fare giornalismo: polifonico, complesso e contraddittorio proprio come la realtà. Alexievich afferma di essere “registratore” e così facendo, “diventa ascolto e traghetto di un’esperienza” che noi potremo leggere attraverso le sue parole.

L’ultima autrice che  Mannocchi cita è Annie Ernaux, con i suoi Memorie di ragazza e Guarda le luci amore mio. Entrambi trattano, più o meno esplicitamente, il tema della disuguaglianza, dura realtà con cui la scrittrice francese viene a contatto negli anni dell’adolescenza e che la segnerà per la vita.

In fretta, dato lo scadere del tempo a disposizione, Francesca Mannocchi propone l’ultimo libro, Critica della vittima di Daniele Giglioli. Cita al pubblico una frase di questo saggio: “Io non sono quello che faccio, ma quello che mi hanno fatto” e un grande applauso dalla platea sembra non terminare mai.

Celeste Barbieri, 5G

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