Tutti gli anni la stessa domanda. Quando arriva questa seconda domenica di maggio, devi farle un regalo e lei ha sempre tutto.
Non importa che tipo di mamma sia, non si riesce mai a indovinare cosa vorrebbe. Forse perché è sempre lei a preoccuparsi di quello che serve a te, dimenticandosi di sé tra una festa e un borsone per allenamento. Era lei che controllava che i quaderni nello zaino ci fossero tutti e che fossero quelli con le righine che chiedeva la maestra, perché tu a sei anni mica avevi capito il motivo di tutti quei cambi di righe. È lei che ti fa trovare pronto il caffè caldo con due cucchiaini di zucchero come piacciono a te; non importa che tu stia uscendo dal lavoro o da scuola, che lei abbia quaranta o ottant’anni, il caffé lo troverai sempre nella tazzina che ti piace. È lei che ti accompagna ovunque se hai bisogno di un passaggio anche se non era previsto, glielo stai chiedendo a mezzanotte ed era già sul divano. Allora forse a volte si smette di pensare a che cosa vorrebbe una mamma.
Se glielo chiedi generalmente ti risponderà “a me basta che tu e tuo fratello la smettiate di litigare” e forse non ha tutti i torti. Quando pensiamo ad un regalo ci viene sempre in mente una scatolina comprata in profumeria o nella gioielleria di fiducia, i più fantasiosi pensano a un viaggio o un lavoretto fai da te. E se il regalo migliore fosse sollevarle da qualche responsabilità?
Sì perché tutti si aspettano che una madre riesca ad essere in contemporanea cuoca, autista, segretaria, sarta, cameriera, giudice, inserviente e mantenere un lavoro. Poi tanti datori di lavoro ti obbligano a mettere la firma sotto quella clausola che ti lascerà a casa in caso di gravidanza nonostante sia anticostituzionale; la larghissima maggioranza dei posti di lavoro persi durante la pandemia erano occupati da donne.
E quando il diritto di una madre va ben oltre quello al lavoro, riducendosi a quello di vedere sopravvivere il figlio? Se vi fermate a pensarci la nostra immagine di madre casalinga viene rispecchiata dalla tipica donna anni 50 che aspetta che il marito torni dall’ufficio mentre cucina o fa giardinaggio. Nelle menti di pochi si illumina l’immagine di una mamma africana che, con i suoi cinque o sei bambini in media, deve mandare avanti la casa, o la baracca che ne fa le veci, mentre il marito è chissà dove, in guerra, nei campi o nelle miniere.
Questa donna, che dovrebbe avere gli stessi diritti di vostra madre, invece si preoccupa di non vedere morire l’ultimo dei suoi bimbi, mai arrivato ad essere normopeso, di non morire di parto perché gli ospedali, se ci sono, hanno condizioni igieniche inesistenti, di non mandare a lavorare i figli troppo presto perché rischiano pesanti infortuni e la vita stessa. Nessuna di queste madri chiederebbe mai un regalo la seconda domenica di maggio: alcune chiedono mentre rischiano la vita su barcone che almeno i figli vengano messi in salvo, altre di non essere separate da loro nei campi profughi, altre ancora che quegli occhioni non siano costretti a vedere la guerra e la fame per sempre.
Dagli ospedali africani ai bus ucraini, dalle coperte termiche del Mediterraneo alla guerra in Afghanistan, dalla Siria all’Italia non tutte riescono a vedere rispettato il diritto alla vita del proprio figlio e neanche quello a una vita serena per loro. Quante lacrime fotografate, quante grida inascoltate, quanti appelli al telegiornale? Quante richieste di verità dalla madre di Regeni, da quella di Zaki e ancora da quella di Vannini, di Willy, dei bambini della terra dei fuochi, dei pazienti dell’Unità malattie rare di Roma? Quante rivendicazioni di diritti negati a queste mamme facciamo finta di ascoltare nascondendoci dietro un mazzo di fiori questo 8 maggio?
Cleo Cantù