Le principesse dei cartoni non hanno gli occhiali, non hanno disabilità fisiche e men che meno mentali, non hanno taglie verosimili, non hanno orientamento o genere che non sia “predefinito” e accettato.
Perché la rappresentazione della vita ideale di una ragazza non deve comprendere queste diversità? Chi ha deciso che Cenerentola dovesse perdere una scarpetta di cristallo e non un paio di Vans? Perché la Disney è riuscita a disegnare una principessa di colore e una asiatica, una che si vince in sposa da sola battendo i pretendenti, persino una sirena, ma non si è mai vista una sedia a rotelle o un’altra donna al posto del solito principe azzurro?
Una volta sola è stata inserita una sirenetta sorda con un amico polipo che traduceva il suo esprimersi con la lingua dei segni, si chiamava Gabriella. Qualcuno si ricorda di lei? No, probabilmente solo qualche bambina che, rivedendosi in lei, ci si è affezionata, altrimenti non sarebbe possibile averne memoria non essendo protagonista in un cartone mandato in onda per poco tempo.
Non vi viene il dubbio che il modello che ci viene proposto fin da piccoli sia poco sano oltre che poco realistico?
I cartoni, strumento di intrattenimento e insegnamento utilizzato da ogni genitore in quantità più o meno industriale, dovrebbero essere il primo mezzo con cui un bambino si sente incluso, in cui si può rifugiare quando la vita vera non corrisponde alle aspettative, da cui partono fantasia e creatività. Ma quando anche questi ti escludono, non puoi che sentirti fuori luogo.
La bambina si è appellata all’ex Ceo della ditta, per chiedere l’inclusione che le è dovuta. Questo dimostra come, a solo nove anni, si inizino a percepire i disagi di queste mancanze causate da una società che privilegia le persone che essa stessa decide di definire normali
E se a voler evitare le diversità fossero proprio i genitori? Sembra assurdo ma in molti casi è proprio chi dovrebbe educarli, a voler evitare di esporre i figli a certi tipi di inclusione. La maggior parte dei genitori sarebbero favorevoli a un paio di lenti sul naso della prossima protagonista, ma molti avrebbero da ridire se il principe azzurro fosse un ragazzo trans, perché meglio soli che male accompagnati, no?
È quello che è successo quando in Muppet babies gonzo trova il coraggio di presentarsi come Gonzorella: dopo davvero poco tempo Twitter si è riempito di “they’re pushing the trans agenda on children”, “this is sick and pervert”, “let kids be kids” quando hanno solo fatto indossare un vestito a un Muppet maschio per incoraggiare quei bambini che avrebbero volentieri indossato altrettanto.
Non c’è poi da stupirsi se per un coming out si devono aspettare anni e anni, sempre che ci sia, o se una persona etero, cisgender e senza disabilità crea etichette per i “diversi”, quelli che non ha mai visto nei cartoni se non come figure buffe di supporto ai personaggi principali. Ora, siamo tutti consapevoli che non si risolverebbe ogni tipo di discriminazione tramite qualche figura in uno schermo colorato, ma perché non partire da lì?
Cleo Cantù