Sentiamo parlare spesso al telegiornale di rifugiati, profughi, “stranieri” e migranti. Racconti di nuovi sbarchi, nuove vittime del mare e nuove guerre sono diventati abitudine, mentre fiumi umani in fuga attraversano il Medio Oriente e il nord Africa pur di arrivare in Europa, considerata oasi in cui abbondano beni di consumo e opportunità di benessere e guadagno, nonché l’unica possibilità di ricominciare a vivere. Spesso le definizioni di “rifugiato” e “profugo” vengono confuse tra loro e con quella più generica di “migrante” e di “richiedente asilo. Facciamo un pò di chiarezza?
Il “rifugiato”, è colui che “nel giustificato timore d’essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinioni politiche”, scappa dal proprio Stato d’origine, non potendo chiedere ad esso protezione e non potendo ritornarvi.
A differenza del rifugiato, il “profugo” è colui che per diverse ragioni, che possono riguardare la guerra, la fame, la povertà, calamità naturali, ecc., ha lasciato il proprio Paese e non è nelle condizioni di chiedere la protezione internazionale.
Per i rifugiati, esiste una legislazione particolare sancita dalla Convenzione di Ginevra, che si basa sul principio fondamentale che afferma che un rifugiato non possa essere espulso o rimandato nel proprio Paese d’origine, se in questo rischia la vita o la violazione delle sue libertà e diritti. Questa Convenzione, basata sull’Articolo 14 della Dichiarazione dei diritti umani, riconosce il diritto delle persone a chiedere asilo dalle persecuzioni in altri Paesi.
Per i profughi, però, esiste una legislazione particolare in grado di tutelarli?
A differenza dei rifugiati, per i profughi non esiste un accordo specifico sottoscritto dai Paesi del mondo, e ciò comporta che i loro diritti siano sanciti esclusivamente dalla Dichiarazione dei diritti umani. Il problema si pone nel momento in cui i Paesi caratterizzati da grandi flussi migratori, non si impegnano a fare in modo che questi diritti vengano rispettati per tutti, provocando condizioni di vita disumane ai confini.
A realizzare un quadro crudo e incisivo della situazione ci ha pensato Ai WeiWei, artista, attivista e regista cinese che si è occupato di raccontare la verità che si cela dietro alle migrazioni. Il documentario “Human Flow” è un viaggio della speranza attraverso 23 Paesi del mondo: la descrizione delle condizioni di vita ai confini, dell’equilibrio sociale di queste comunità nate negli enormi campi profughi, i disastri naturali nel mondo, che hanno provocato lo sfollamento di milioni di persone, fanno riflettere sull’importanza e sulla responsabilità che abbiamo noi, come esseri umani, di porgere una mano e aiutare.
Leggiamo sui giornali di quello che accade al confine tra Polonia e Bielorussia, tra Stati Uniti e Messico e i giornalieri sbarchi di uomini, donne e bambini che sfidano le fredde acque del mare Mediterraneo pur di arrivare in Italia. Persone provenienti da Siria, Iraq, Yemen e Afghanistan, provano ad entrare in Europa in assenza di canali sicuri, mentre i Paesi dell’Unione Europea impediscono loro di chiedere protezione. Nel frattempo, persone provenienti da Haiti, Cuba, Venezuela e Nicaragua, si raccolgono in improvvisati campi di accoglienza al confine messicano, fermate dal “muro della discordia”.
Queste sono solo alcune delle situazioni che si registrano oggigiorno nel mondo e una cosa è certa: chi parte, non ha intenzione di tornare sui propri passi. Cosa potrebbe realmente migliorare questa tragica situazione mondiale?
La risposta a questa domanda sta in una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale, sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi di arrivo. Inoltre, servono normative internazionali adeguate per salvaguardare i diritti delle persone che migrano e allo stesso tempo, le esigenze e i diritti delle società di arrivo. Infatti, il benessere e la sicurezza del Paese ospitante, non possono fare i conti con la povertà e le esigenze di milioni di persone.
Questo è solo il punto di partenza per sviluppare un progetto, volto all’integrazione e alla solidarietà, che richiederà tempo e dedizione per poter essere attuato e non essere considerato utopico. L’importante è ricordare che tutti hanno diritto di trovare la propria “casa” ed essere fieri di poterla chiamare tale.
Celeste Barbieri