Una parola per Zaki

22 mesi fa Patrick Zaki è stato incarcerato per aver difeso i diritti dei suoi concittadini con l’accusa di istigazione a delinquere e calunnia. La sua unica colpa è stata quella di aver usato la parola per informare, per difendere, per far crescere. Per condannare quel paese aguzzino in cui poi è ingenuamente tornato e dove è stato arrestato con false accuse. 

Oggi Zaki è detenuto in Egitto in attesa di ricevere un processo e la parola è la cosa che più gli viene negata. Sì, avete capito bene. Uno stato che si definisce libero e democratico nega l’uso della parola a un suo cittadino. Di cosa avranno tanta paura? Forse li preoccupa la capacità della parola di far emergere la verità o forse temono che le parole accumulate nell’anima di Zaki escano con un’emozione così ferma da costringere la giuria ad assolverlo.

La parola spaventa.

Il potere della parola è incontrollabile. Se usata correttamente può permettere a un attivista di rivedere la luce del sole, a uno Stato di nascondere i propri crimini davanti a una popolazione analfabeta, a milioni di cittadini sparsi nel mondo di ribellarsi a tale violazione dei diritti umani. 

La parola libera.

Ci sarà un giorno in cui quel processo sarà eseguito e allora di parole non ce ne saranno più. Chi mai potrebbe trovare parole per giustificare le ingiurie inflittegli? 

 

 

 

La parola ammutolisce.

Le uniche parole concesse a Zaki sono state messaggi di speranza diretti alla famiglia. Una famiglia che lotta per non vedere la storia di Giulio Regeni ripetersi, una famiglia spezzata dalla paura e dal dolore, una famiglia che vive per il trionfo della verità, una famiglia che aspetta di vedere eseguita la giustizia.

 

La parola unisce.

Voi non ci credereste, ma a Zaki è stato persino chiesto di usarla quella tanto temuta parola. Sì, di usarla per dire la verità, tutta la verità, soltanto che la verità. Ma la loro verità. E quando lui ha detto di non vedere verità nelle accuse a suo carico, indovinate che è successo. Prima una frusta, poi una scossa, poi il digiuno.

La parola resiste.

Zaki sopravvive insieme alla sua dignità, alla sua umanità, alla sua integrità. Zaki continua a sopravvivere anche senza la sua arma più potente, la parola. Negare il diritto di espressione a Zaki non è bastato a creare silenzio. Da quando è stato prelevato in quell’areoporto del Cairo, i social hanno tessuto una rete di ricerca e attivismo forse più grande di quella creata da Zaki stesso. 

Inutile dire che il governo egiziano ha sottovalutato il potere della parola. 

Da un discorso sviluppato per il corso di filosofia sul potere della parola al liceo Fenelon di Clermont-Ferrant

Cleo Cantù

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