Il prezzo della verità

Mio padre ha perso la libertà.

La nostra è una storia come tante, mio padre uno dei pochi che ha rifiutato il silenzio.

Oggi è giovedì, fino a poco tempo fa ogni giovedì dal negozio di nonno passava un omone, con l’arma nella cinta e una sigaretta in bocca, per chiedere la mazzetta settimanale, la chiamavano pizzo, ma puntualmente non veniva riscossa.  Il lunedì invece era giorno delle lettere minatorie, in questo erano anche creativi: un giorno dicevano che avrebbero ucciso mio padre, quello dopo che avrebbero sequestrato me e mio fratello, un altro ancora aggiungevano descrizioni dettagliate e gli arnesi con cui avrebbero potuto renderci infermi. Nonostante mia mamma si sia sempre occupata di eliminarle prima ancora che finissimo di leggerle, io ancora non sono così sicuro di poter stare tranquillo e che quello che riuscivo a intendere dai brevi messaggi sia falso. Gli “incidenti” invece capitavano in modo non cadenzato: una domenica abbiamo visto la Punto andare in fiamme, dopo qualche sabato di bici con le gomme tagliate abbiamo smesso di comprarne, un mercoledì un proiettile si è incastrato nella nostra saracinesca.

Io ho sempre pensato che, tutto sommato, finché noi quattro stavamo bene si poteva anche continuare ad adattarsi a questi “incidenti”. Mio papà no e ha scelto di denunciare. In realtà lui non si è limitato a rifiutare le vessazioni, ma, da giornalista d’inchiesta, ha indirizzato le sue indagini verso la lotta alle mafie. È così che oggi dico che mio padre ha perso la libertà, che al mio primo giorno di liceo sono stato accompagnato dalla macchina blindata, che mia mamma ha perso il posto da impiegata, che gli “incidenti” sono aumentati anche se ci dicono che siamo sotto controllo, che ci sono due uomini che ci seguono ovunque e li chiamiamo scorta.

Io della scorta farei volentieri a meno, ma già da piccolo mi hanno spiegato che non devo lamentarmi della loro presenza perché tanti testimoni e giornalisti chiedono di essere messi in un programma di protezione senza esservi inseriti oppure entrano a farne parte ma vivono con il pensiero di perdere questo servizio in quanto considerati non più a rischio. Persino grandi scrittori e persone realmente in costante pericolo di vita, tanto da dover programmare ogni spostamento e avere ogni telefonata controllata, come Roberto Saviano, si sono visti negare questa possibilità, con l’accusa di usufruire, per fini personali, indipendenti dallo scopo per cui sono stati assegnati, dei servizi offerti dal programma.

Mio padre ancora si incolpa per averci trascinato tutti in questa nuova vita protetta per una sua personalissima scelta, ma è chiaro a tutti di come sia stato coraggioso più che colpevole e lui sa che sarà capace di considerarsi assolto solo quando tutte queste rinunce pagheranno, quando si arriverà a un punto di svolta in una qualche indagine, quando la mafia, se non debellata, potrà dirsi sotto controllo.

Ma forse, allora, non era meglio stare zitti? Continuare a muoversi a piedi anziché con la Punto e le bici, pagare quel pizzo, essere omertosi? Nonostante la paura, i cambiamenti radicali e le rinunce, mio padre mi ha insegnato a rispondere che la verità non ha prezzo.

Racconto di fantasia tratto dalle innumerevoli, purtroppo verissime, storie di testimoni di mafia.

Cleo Cantù

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