Inciampare nella memoria

Tra tutti i sampietrini grigi , semplice pietra, su cui possiamo camminare ne esiste anche  qualcuno dorato, speciale,  con un nome e una storia. Veramente di questi pezzi di memoria se ne possono vedere tanti, se solo ci si ferma a guardare nelle nostre città: c’è Carolina Blum internata a Sorbolo e morta ad Auschwitz, c’è la famiglia Fano arrestata perché ebrea e completamente sterminata, ci sono Mario Vietta ed Evaristo Saccani, deportati. Di loro resta il ricordo nei cuori di chi li ha conosciuti e di chi, passeggiando e guardandosi i piedi, si imbatte nei loro nomi, immobili e potenti quanto le loro storie.

 

 

Da sinistra: Liliana e Luciano Fano, Mario Vietta ed Evaristo Saccani

 

 

L’idea di rendere noti questi nomi attraverso l’inserimento nelle strade da loro abitate fu dell’artista tedesco Gunter Demnig,convinto di poter creare una memoria collettiva. Con la speranza di evitare il ripetersi di queste storie, Demnig inventò le “pietre d’inciampo” e decise di posarle tra gli altri sampietrini dei luoghi in cui le vittime avevano vissuto.

Nelle lastre vengono indicati il nome, l’anno di nascita, la data e il luogo della deportazione e, se conosciuta, quella di morte. Questo perché, oltre che trasformale in testimonianze tangibili, intenzione è quella di restituire a queste figure l’individualità che fu negata loro in quei campi e trascurare le differenze etniche davanti a quel nemico comune che ebbe effetti devastanti su tutti, il nazismo.

Il progetto non fu subito accolto con grande entusiasmo: non tutti i conoscenti erano disposti a ricordare le atrocità subite e inizialmente le lastre ricordavano con troppa forza il periodo in cui le lapidi ebraiche venivano utilizzate come pavimentazione dai tedeschi. Nonostante i dubbi iniziali questa forma d’arte celebrativa è ancora ricorrente, tanto che ogni anno alcune associazioni ne aggiungono di nuove.

Il numero di queste pietre continua ad aumentare, come ad aumentare è anche il sentimento di negazionismo e oscurantismo che si abbatte su questa tematica. Quando si parla dei campi, delle vittime, di tedeschi ed ebrei è facile, anche se inspiegabile, sentire dire “all’epoca si stava meglio”, ma si capisce che dietro queste parole, più che cattiveria c’è vera ignoranza. Ciò che preoccupa davvero è che non è così difficile trovare qualcuno disposto a sostenere che i campi  di concentramento in realtà erano posti felici, forniti di piscine e punti ricreativi.

Ecco, allora è a questo che serve ricordare, è a questo che serve inciampare nei nomi di queste persone, è a questo che serve la giornata della memoria. Non serve scrivere temi scolastici obbligati se poi si disegnano svastiche sui muri, non serve studiare quanti morti fece la Shoah se poi si sta in silenzio davanti a un “sporca ebrea” sputato davanti ad una porta, non serve guardarsi tutti i film sulla seconda guerra mondiale se poi non ci si accorge che ciò che si vede in televisione è successo solo sessant’anni fa e può succedere di nuovo da un momento all’altro.

Foto del sito pietredinciampoparma.it

Cleo Cantù

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