Siamo in Michigan, è la vigilia di capodanno e fuori nevica copiosamente. Ci sono quattro gradi sotto zero.Le strade sono deserte, congelate, illuminate solo dalla luce fredda, blu dei lampioni, non c’è nessuno fuori, o perlomeno, non si vede nessuno. C’è troppa nebbia.In una villetta isolata, distante mezzo miglio dal primo centro abitato, vive Bob, sessantacinque anni, senza moglie, senza famiglia, da solo il primo dell’anno.
Bob ha la faccia buona, rossa, piena, è un po’ in carne, come tutti della sua età, d’altronde; indossa la maglietta del pigiama, a maniche corte, e dei pantaloncini, sembra non soffrire il freddo. In realtà in questo momento neanche Bob è in casa. Alle 22.30 si è alzato dalla sua poltrona, da cui guardava la televisione, ed è uscito per prendere altra legna da ardere nel camino. Ha lasciato la porta aperta. Cammina veloce lungo il vialetto, non vuole prendere un malanno, senza pensarci, è uscito senza mettere altro addosso.
Fa un passo falso, scivola sul ghiaccio e batte la schiena e il collo. Ancora non lo sa, ma nel momento in cui ha toccato il suolo il suo midollo spinale si è compresso fra i dischi vertebrali e le due vertebre adiacenti si sono schiacciate: è paralizzato; quando ti fai male non pensi alle ripercussioni che il corpo ha subito, riesci a pensare solo al dolore. E il suo dolore fa urlare Bob parecchio forte.
I vicini non lo sentono, sono troppo distanti. Solo il suo cane, Kelsey, un golden retriver di quindici anni, percepisce la sua voce. Si precipita per aiutarlo, il pelo bianco si confonde con la neve. Quando lo vede abbaia violentemente, si precipita sul corpo freddo del padrone, si sdraia su di lui per tenerlo al caldo, continua ad abbaiare per chiedere aiuto e a leccargli viso e mani per tenerlo sveglio. Nessuno sembra sentire, o ascoltare, il latrato del cane fino alle 18.30 del giorno seguente, quando il capodanno non è più rovinabile e i rumori sono più concreti, meno ignorabili, il vicino chiama il 911. Sono passate venti ore. Nel frattempo Bob è svenuto.
Quando arriva in ospedale il medico di urgenza si rende conto che Bob è in fibrillazione atriale e in ipotermia: la temperatura corporea misura ventuno gradi. Viene subito sottoposto dal neurochirurgo di turno ad un intervento di decompressione spinale.
L’intervento riesce, ma l’uomo può muoversi solo cinque mesi dopo l’incidente.
“La maggior parte delle persone con lesioni vertebrali non si muove più – svela il neurochirurgo – È una tragedia, ma quando è successo, è successo. Non so se siano state le basse temperature o la posizione in cui era sulla neve a salvarlo dalla paralisi permanente”.
Dottore, credo che piuttosto sia stato il cane a salvarlo.
Il compito che mi era stato assegnato era trovare un esempio di magnanimità, follia e viltà come ce li descrive Dante nel canto II e nel XXVI dell’Inferno: trovare questo fatto di cronaca non è stato difficile. Non si sente spesso al telegiornale o sulle news in copertina sul telefono di cani che compiono gesti eroici, ma basta digitare su google “notizie strane e non troppo raccapriccianti” per vedere decine di articoli con animali in copertina. Personalmente, il mio rapporto con gli animali è abbastanza freddo, distante, c’è un unico cane che mi piace, il mio, ma non posso non riconoscere la loro tipica, completa dedizione, di cui si sente parlare tanto spesso, nei confronti dell’uomo.
Il cane non pensa alle ripercussioni che può subire facendo qualcosa per gli altri, non prova invidia né rabbia, occasionalmente gelosia e possessività, ma non conosce cattive intenzioni, in cambio chiede affetto ma spesso quello che ti regala è molto più prezioso, molto più raro nel mondo degli umani. Io associo la follia, come gesto azzardato e discutibile, all’uomo uscito di casa vestito poco, ben sapendo che la temperatura fuori era molto bassa. La magnanimità al cane: si è comportato sfruttando al massimo le sue capacità. Pur non avendo voce umana o pollici opponibili ha usato i suoi mezzi per salvare il padrone: il pelo per scaldarlo, la lingua per tenerlo sveglio e il latrato per chiedere aiuto. Sinceramente non so se il vicino abbia ignorato volontariamente l’abbaio di Kelsey, ma posso immaginare che non ipotizzasse di trovare il padrone paralizzato al suolo. Comunque considero il suo atteggiamento come esempio di viltà perchè ha sottovalutato la situazione, si è comportato in maniera inferiore rispetto alle sue capacità, al contrario del cane.
Dante, canto II, Versi 35, 44, 45.
Fonti:
Elena Sofia Petroni, 3E