Da tante storie una storia: di come mia nonna ha scritto un libro

Guardiamo la televisione, ascoltiamo la radio, sfogliamo il giornale: le notizie, agli angoli delle vie, sono sempre le stesse, spesso tristi e allarmanti. Non pensavo certo che una storia diversa da raccontare l’avrei trovata nella mia famiglia, in quelle persone che sempre guardo con gli occhi resi indifferenti dall’abitudine. 

Circa un anno fa mia nonna iniziò a raccogliere i suoi ricordi in quello che ora è un piccolo libretto di cui sono state pubblicate alcune copie, da non pensare però in vendita nelle librerie (girano infatti più tra amici e conoscenti). 

Fu proprio nel periodo più acuto della crisi sanitaria, tra marzo e aprile di quest’anno, che la nonna si concentrò sul libro: come molti altri nonni si ritrovò sola nella sua grande casa, unico interlocutore il nostro gatto veterano. Ma forse è stata proprio la solitudine di quei lunghi giorni a indurla a continuare a scrivere.

Tempo prima le avevo proposto di raccogliere le sue memorie in un diario per mettere su carta non solo i ricordi ma anche la tristezza che a volte li accompagnava quando rievocava il passato. In realtà l’idea era venuta perché in quel periodo mi appassionavano le autobiografie: certo non mi aspettavo mi prendesse in parola, dato che non ha mai avuto l’abitudine di leggere e men che meno di scrivere, probabilmente perché da giovane non poté continuare a studiare. Era infatti frequente all’epoca, e purtroppo non è raro ancor oggi, che tra le famiglie meno abbienti si dovesse interrompere la scuola per lavorare: così anche mia nonna, finita la quinta elementare, prese a stare a casa per aiutare. Quando le chiedo se allora ne fosse stata rammaricata, lei con grande franchezza e spontaneità dice di non ricordare un gran dispiacere, ma di essersi resa conto poi delle difficoltà conseguenti a quel privilegio negato, e forse è un po’ per questo che insiste sempre affinché gli altri studino.

Tuttavia dal difetto della mancata istruzione la nonna ha sempre tratto i suoi punti di forza, facendo leva più sul contenuto di quanto dice o fa, e così anche col libro: nonostante qualche inciampo grammaticale (immancabilmente sottolineato dal computer con quella fastidiosa lineetta rossa) i ricordi arrivano vivi e veri; del resto, a lei come un po’ a tutti i nonni, non manca certo l’abilità nel raccontare.

Ho iniziato a guardare la nonna con occhi diversi dopo il libro, a capirla meglio e a sentirla più vicina nonostante la differenza di età e esperienza. Quando ero piccola questa intesa si creava quasi con la costanza di un rito: mi piaceva molto ascoltare le storie dei nonni, i quali quasi si “abbassavano” allo stesso piano della loro nipote bambina, diventando “bambini senza età”, “vegliardi mascherati”. Col tempo questa abitudine si è un po’ persa: in realtà la tendenza all’ascolto va in generale scomparendo. 

Poi ecco la pandemia, e il forzato isolamento. Gli altri hanno riacquistato parte di quel valore perduto a causa della fretta e della tendenza opposta all’ascolto – l’individualismo. Allora è parso quasi doveroso sentire i nonni, chiamarli un po’ più spesso, forse sapendoli isolati nelle loro case silenziose, e comunemente ritenuti esseri fragili. Io trovo invece che le loro storie di vita siano un forte esempio di resilienza e ripartenza, temi attuali oggi come sempre e cui ciascuno può ispirarsi.

Dalla nonna ho capito che della solitudine si può sempre fare qualcosa: anche ora che siamo paradossalmente tenuti a limitare ogni contatto con gli altri, rimane una nostra scelta come impiegare questo tempo vuoto – svuotato della compagnia altrui. Possiamo ricorrere a film, musica, arte…  mia nonna ha persino scritto un libro! 

Invito ciascuno a riscoprire l’importanza degli altri: aprirsi a storie diverse, a partire proprio da quelle di chi è più vicino a noi: è probabile rimanerne sorpresi e ispirati.

Margherita Buratti Zanchi

 

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