Giustizia riparativa: un percorso di crescita e di rinascita, personale e collettiva, che crea un legame tra vittime e colpevoli. Persone come Agnese Moro, Giorgio Bazzega, Giovanni Rizzi, famigliari delle vittime, e Adriana Faranda, ex-brigatista, sedute allo stesso tavolo, uno accanto all’altro, che ridono, fanno battute e si scambiano abbracci. E’ il 17 Maggio, a pochi giorni dal quarantennale della morte di Moro. Nessuno avrebbe potuto immaginarlo, eppure eccoli lì, seduti sul palco del cinema Astra di fronte a una platea di giovani studenti curiosi e increduli allo stesso tempo.
Noi studenti eravamo infatti pronti ad affrontare questo incontro a livello storico, ma non sapevamo a cosa stavamo per andare incontro emotivamente.
I cosiddetti “anni di piombo” sono stati momenti difficili della nostra storia, segnati dalla violenza, dal pesante scontro politico, dalla faziosità senza possibilità di mediazione tra diversi partiti, dalla morte di persone colpevoli solo di svolgere il proprio lavoro o di sostenere determinate idee politiche.
E oggi? Niente più spari, bombe, rapimenti o scomparse. Solo figli, padri, madri, mogli e mariti che per sempre avranno il cuore sporcato di una macchia indelebile. Persone costrette ad indossare un pesante mantello, invisibile agli occhi di tutti, colmo di rabbia, odio e di dolore. Pochi hanno il coraggio di togliersi questo peso che li schiaccia e non permette loro di alzare gli occhi verso una nuova vita, un nuovo futuro. E’ vero, affrontare la dura realtà non è semplice e non certo immediato; un lungo percorso che porta alla libertà piena di sè stessi. Ed è qui che la giustizia riparativa entra in campo.
“Ciò che ci ha permesso di superare quell’astio e trovare la pace è stata proprio la giustizia riparativa, ” dice Giorgio Bazzega con gli occhi pieni di lacrime.
“Dialogare con chi ha contribuito ad uccidere i propri cari, vedere nei loro occhi il pentimento, capire il perchè delle loro azioni e riuscire a perdonare, lasciandosi alle spalle un macigno di odio, ha permesso a tante vittime, come me, di non essere più tali, o per meglio dire, di vivere una vita felice e serena nonostante la grave perdita subita”.
Com’è possibile anche solo guardare negli occhi un assassino e per giunta l’assassino del proprio padre? Ci chiediamo, noi ragazzi. La tensione, l’interesse e il coinvolgimento emotivo si trasformano in un silenzio rumoroso, intenso e pungente; per tutta la durata dell’incontro abbiamo visto le nostre convinzioni rimescolarsi, distruggersi e rafforzarsi.
Alla fine, dopo due ore così intense, una volta usciti dalla sala, le nostre menti non erano più sgombre come prima, così sicure delle nostre convinzioni, così certe che una vittima è solamente una vittima e tale deve rimanere. Le forti parole di Giovanni, la ricca storia di Giorgio non sono passate senza lasciare tracce; hanno, al contrario, riempito quei vuoti del nostro pensiero e ne hanno formulati di nuovi.
Perchè non dare la possibilità a persone che hanno sofferto e stanno soffrendo di trovare la felicità?
Perché le vittime non dovrebbero avere il diritto di parlare con gli assassini, i criminali, a pena scontata?
Ciascuno di noi vuole la felicità; sarebbe disposto a fare di tutto pur di ottenerla. E così hanno fatto Giorgio, Giovanni e Adriana, loro e tanti altri. E’ vero, i ricordi non spariscono, sono parte di ognuno di noi, ci costruiscono, ci plasmano in ogni minima sfaccettatura. Ma il destino è l’unione di tante storie diverse, di pensieri diversi e spesso destini diversissimi finiscono per sempre legati.
“So che le nostre sono vite imparagonabili e che non potrà mai esserci una memoria condivisa. Ma possiamo condividere le nostre rispettive memorie,” conclude Adriana.
E tu, cosa avresti fatto?
Anna Nadotti
Gloria Oppici
Sara Giordani