Il 12 luglio, che lo volessi oppure o no, ho compiuto 17 anni. Per festeggiare un evento di tale importanza, mia madre e il mio ragazzo hanno deciso di portarmi a Bonassola, un paese ligure a pochi chilometri da Levanto, immerso in una tranquillità quasi surreale. Io e mia madre lo chiamiamo “il nostro paradiso”. Il mio ragazzo poi, osservando il mare dalla camera dell’albergo, ha sospirato: “Mi ricorda la Francia…” Allude alla Costa Azzurra, dove ha trascorso 12 anni della sua vita, e in particolare a Sainte-Maxim, che è ad un’ora di macchina da Nizza. Qualche ora dopo la sua malinconica constatazione, 85 persone perdono la vita per mano della follia umana. Ancora una volta.
È successo alle 22.30, forse mentre stavamo intraprendendo il percorso sul nostro piccolo lungomare, senza immaginare che in contemporanea un camion si stava lanciando contro la folla, sulla Promenade des Anglais. Stesso mare, stessa costa, stesso “fondale che va giù subito”, ma stati d’animo differenti, noi all’oscuro di loro e viceversa.
Il giorno dopo la madre del mio ragazzo ci ha chiamato raccontando ciò che era successo. Ha aggiunto che un sacco di suoi coetanei erano morti. Stelle incandescenti che si sono spente in una notte “Chissà i loro genitori…”, è il commento della donna, lo stesso che farebbe qualsiasi madre.
Nel compianto del dopo-strage, tutti pensano alle vittime, pochi a chi resta, a parte le madri, appunto, l’unica categoria umana che vive in funzione di qualcun altro. Nessuno si è concentrato sui famigliari dei new yorkesi che hanno perso la vita l’11 settembre; o su chi è sopravvissuto ai campi di concentramento; o a i cari di chi viaggiò sulla Concordia. La morte ci può sorprendere in qualsiasi momento, ma quando avviene per mano umana è diverso; la stessa morte appare distorta, così evitabile.
Qualcuno ha mai pensato a cosa stavamo facendo mentre qualcun altro poco lontano stava perdendo ogni cosa? Dormivamo? Facevamo bei sogni? O eravamo tristi per motivazioni futili? La verità è che in un mondo che ci insegna che la nostra vita è più importante di quella altrui, nessuno crede che sia giusto porsi questa domanda, che ne valga la pena.
Le morti degli altri ci sorprendono come fa l’acqua dopo un bagno, magari al mare: prima siamo grondanti, poi, mano a mano che stiamo al sole, rimangono soltanto piccole gocce immobili; e poi nemmeno quelle.
Pensare a loro, ai sopravvissuti, ci lascia bagnati della gelida acqua dell’esistenza, che poi è un pianto. Nella speranza che il mondo cambi.
Giorgia Zantei