Morte e paradossi dietro ai nostri amati smartphone

L’immagine è quella di una madre, con marito e figlio di circa 7 anni, in un centro commerciale, appena oltre la soglia di uscita di un negozio di cellulari. Con mano frenetica la madre sta scartando lo smartphone che ha appena acquistato; il figlioletto, in trepidazione, attende di averlo in mano. Non vede l’ora di scaricare qualche gioco e l’idea lo rende euforico. È la triste o felice normalità, a seconda dei punti di vista, di una famiglia che vive in uno dei cosiddetti paesi sviluppati, come può essere l’Italia, in forte contrasto con quella che vive una famiglia simile in un paese in via di sviluppo. Ma c’è anche un triste aspetto che lega quella famiglia e quel nuovo smartphone all’altra famiglia congolese, composta esattamente come quella del centro commerciale da una madre, un padre e un figlio di 7 anni. Lui, spedito in gallerie e cunicoli strettissimi che altrimenti non potrebbero essere raggiunti da nessun altro, trascorre la giornata a raccogliere cobalto, elemento che costituisce in gran parte la batteria del telefono su cui ora l’altro bambino coetaneo trascina da una parte all’altra dello schermo l’indice della mano, per tagliare virtualmente la frutta o per arrivare primo alla corsa delle macchinine.

È questa la dura realtà denunciata da Amnesty International, organizzazione non governativa paladina dei diritti umani nel mondo. Le ricche risorse naturali della Repubblica Democratica del Congo sono nelle mani dei cosiddetti “signori della guerra”, presto diventati i principali interlocutori delle multinazionali, che a loro volta riforniscono colossi tecnologici come Apple e Samsung. Un processo disumano che ha come protagonisti “forzati” i bambini, la cui unica, paradossale, “sfortuna” è proprio questa: essere bambini, avere sei anni, avere un corpo piccolo che si può infilare tra anfratti e gallerie buie. E che in alcuni casi neppure riemerge.

Ogni giorno decine di bambini muoiono.

Ogni giorno noi, dall’altra parte del mondo, ignari e beffardi, utilizziamo senza sosta proprio quei cellulari, quei tablet e quei computer portatili che comprati continuano ad alimentare il processo. Sconvolge il silenzio di chi sa e non parla: qualche articolo sparso qua e là sul web, se possibile nascosto tra gli immensi archivi digitali di giornali e siti internet. Sconvolge l’indifferenza di chi si serve di questa terribile macchina per fare della vita una ricca cassaforte. Tanti articoli come questi, di denuncia e indignazione, dovrebbero ricordarci la dura realtà che sta dietro al cellulare che utilizziamo. E magari farci anche passare la voglia di comprarne un altro; o meglio, comprarne uno che dietro di sé non porti sangue e morte.

Sansone Mattia

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