La lettera a Meneceo, del filosofo greco Epicuro, ha come cuore il concetto di felicità, effimera o permanente, da cui l’essere umano dipende; la stessa che determina il colore delle giornate, il bisogno di compiere determinate scelte e addirittura quella che stabilisce la pace dell’anima e del corpo.
“Così pure teniamo presente che per quanto riguarda i desideri, solo alcuni sono naturali, altri sono inutili, e fra i naturali solo alcuni quelli proprio necessari, altri naturali soltanto. Ma fra i necessari certi sono fondamentali per la felicità, altri per il benessere fisico, altri per la stessa vita. “
Questa frase spiega alla perfezione come funziona una dipendenza. Epicuro qui non parla di dopamina che entra a contatto con i recettori neuronali, bensì di qualcosa che può capire anche un bambino, ovvero il fondamento del “bisogno di piacere”. Mi servirò proprio della mia esperienza da infante, in modo da rendere a pieno l’idea: quando mia madre mi dava un cioccolatino, mi faceva provare un determinato tipo di piacere, perché al mio palato risultava molto buono. Mi veniva d’istinto chiederne un altro e, essendo un bambino, questa richiesta non era emessa una volta, ma veniva espulsa dalla mia bocca ripetutamente fino alla soddisfazione.
Il giorno dopo, mia madre avrebbe fatto la stessa cosa e dopo un po’ di giorni io non solo inserivo questo cioccolatino tra i piaceri “fissi”, “necessari”, della giornata, ma mi abituavo anche all’idea che la richiesta di questo dolcetto sarebbe stata avanzata solo in caso esso fosse mancato anche soltanto un giorno. Ebbene, questo è lo stesso ragionamento che funziona per il languorino e la sete; si manifestano? Si mangia o si beve. Perché?
Perché mangiare, magari non quanto bere, è uno dei piaceri che Epicuro definisce “necessari”.
E se questo avviene nella testa di una semplice persona, si può immaginare cosa possa accadere in quella di coloro che sono dipendenti dal cibo o dalle droghe, strade che sul lungo periodo portano nello stesso posto: la morte. Ebbene, Epicuro ha una parola importante anche su questo. “L’esatta coscienza che la morte non significa nulla per noi rende godibile la mortalità della vita, togliendo l’ingannevole desiderio dell’immortalità — vivere l’attimo senza preoccuparsi del futuro”.
La morte è qualcosa che giunge da noi solo quando il nostro ciclo vitale è giunto al termine, pertanto non bisognerebbe vivere con la paura di morire, poiché essa è inevitabile, ineluttabile, ma soprattutto, non può ferirci, non può farci male se siamo ancora vivi.
Questo è succede perché, secondo la teoria democritea che Epicuro appoggia, tutto è formato da atomi, anche le sensazioni, i cosiddetti “simulacra”, ed una volta che si muore non si prova alcuna sensazione, neanche il dolore del decesso stesso.
Ma tralasciando la morte, un altro ragionamento che possiamo dedurre da quelli che fa Epicuro riguarda la vita dello studente: egli si trova tutti i giorni a scegliere tra lo studio e tutte le altre attività, che magari preferisce allo studio, perché gli fanno provare più piacere del leggere, sottolineare e ripetere delle pagine o svolgere dei calcoli. Egli però deve sapere che il suo futuro dipende da quel che fa ora e non completamente dal caso. Epicuro dichiara: ”Ricordiamoci poi che il futuro non è del tutto nostro, ma neanche del tutto non nostro”.
Questo perché la sua conoscenza, la sua sapienza, quindi la sua futura immagine, la considerazione che avranno le persone di lui dipenderanno proprio da quel che studia, da quello in cui si applica nel presente; tuttavia non può sapere se un giorno verrà colpito da una malattia oppure da un’automobile in corsa, insomma, un evento che volga al termine la sua vita prima della morte naturale. Dunque, se non bisogna essere timorosi della morte, non dobbiamo neanche agire con sprovvedutezza, senza pensare alle possibili conseguenze letali.
Esattamente ciò che succede nelle menti degli affetti da dipendenza. Col passar del tempo, è il piacere, ormai divenuto necessità, ad avere il ruolo di capotreno, perché ormai quel treno è andato troppo lontano e più continuerà ad andare, più sarà difficile tornare ad una posizione di stabilità. Non è più la persona ad avere il controllo. Queste situazioni sono prevenibili con la giusta informazione, come nel caso degli stupefacenti, e il giusto autocontrollo, come col cibo, per esempio. Nel pensiero di Pitagora, la purificazione dell’anima si raggiungeva anche grazie a sessioni di digiuno, dall’astenersi dal mangiare un determinato cibo oppure a mangiare con cognizione, senza strafare. In ogni caso, è proprio la sapienza a spezzare tutte le catene, a prevenire tutti i danni dal male…
“Bisogna giudicare gli uni e gli altri in base alla considerazione degli utili e dei danni. Certe volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece il male un bene”
Quindi, studenti svogliati, sappiate che il vostro futuro lo state scrivendo voi stessi adesso; è ora che dovete saper sacrificare un piacere effimero per uno che sarà determinante, una volta terminati i cicli di studi, per tutta la vostra vita.
Mirko Pio Tomai, 3E
Sorolla, Correndo sulla spiaggia