I Capannoni di Parma

Dal 12 febbraio al 25 aprile a Palazzo Governatore, in Piazza Garibaldi a Parma, si è tenuta  una mostra dal titolo “I Capannoni di Parma. Storie di persone e città.”  

La mostra è situata all’ultimo piano del palazzo, occupa cinque sale ed è divisa in tre parti: la prima, composta dalle sale uno e due, rievoca il periodo storico della nascita dei “capannoni”, la seconda, in una sezione di collegamento, accoglie una rappresentazione di un locale con qualche arredo di un tipico “capannone”;  la terza, nelle sale tre e quattro, ospita la descrizione delle caratteristiche delle costruzioni e la loro localizzazione nell’ambito urbano della città.

La prima sala della mostra illustra Parma alla fine del diciannovesimo secolo, molto raccolta e circondata dalle mura: il fiume, come oggi, la divideva in due parti ma, già allora, i caratteri erano molto diversi: Parma vecchia, sulla sinistra del corso d’acqua, ospitava i ceti popolari, il proletariato, famiglie numerose che spesso soffrivano la disoccupazione e i disagi della povertà e che vivevano in case fatiscenti, in condizioni igieniche al limite; dal lato opposto, Parma nuova rappresentava l’area ricca, abitata dai ceti più abbienti, borghesia e latifondisti. 

Nessuna autorità aveva preso a cuore la condizione del quartiere dell’Oltretorrente fino a quando, nel 1889, venne nominato sindaco Giovanni Mariotti, dell’ala progressista, che restò in carica per 4 mandati, cioè circa 25 anni: questi propose e realizzò un piano per ristrutturare tutta l’area degradata: vennero costruite diverse nuove strutture, tra le quali il bagno pubblico (oggi Teatro 2), la scuola Pietro Cocconi, l’adeguamento dei ponti (in particolare Ponte Verdi, fino a quel momento privato della famiglia Farnese), l’edificazione di nuove case popolari in via della Salute e Piazzale Marsala. Tutto ciò contribuì a migliorare in buona parte le condizioni di vita.

Nella seconda sala si entra più in dettaglio sugli avvenimenti accaduti durante quel periodo storico: la gente di Parma vecchia era strettamente legata ai movimenti sindacali, come unica speranza per poter lottare contro la miseria e nel 1922, poco prima della marcia su Roma, accadde un evento che portò alla costruzione dei “capannoni”: un generale fascista, Luigi Balbo era in missione a Parma, perché in quel periodo Mussolini stava cercando di prendere possesso delle città più importanti. Gli abitanti di Parma Vecchia, inaspettatamente, si opposero con forza al passaggio del militare e delle sue truppe, che non riuscì ad entrare. Un evento che creò molto stupore in quei tempi. Il regime però rispose rapidamente alla protesta attraverso la repressione dei sovversivi, l’appropriazione della memoria delle persone (un esempio è la statua di Filippo Corridoni fatta costruire da Benito Mussolini per avvicinare i sovversivi agli ideali fascisti) e l’abbattimento dei borghi nel 1923.

In un periodo brevissimo, una settimana, vennero abbattute circa 300/350 abitazioni e due borgate scomparvero completamente (Carra e Minelli); in poco tempo furono poi edificate nuove case che vennero occupate da persone della media borghesia. Gli sfollati vennero alloggiati in nuove strutture, realizzati con i materiali di recupero delle demolizioni, in aree periferiche della città: fu così che nacquero i “capannoni”, nelle zone di Navetta, Via Venezia, Via Toscana e Castelletto.    

Al termine della seconda sala e quindi della parte storica, troviamo una copia del Monumento al Piccone risanatore: l’originale si trovava proprio nel Palazzo del Governatore e proprio per questo motivo oggi la mostra si tiene qui.mon

Procedendo, al centro della mostra, si trova una rappresentazione dell’interno di un “capannone”, le strutture dove gli ultimi, coloro che non si potevano permettere nemmeno di andare a vivere nelle case popolari, vivevano. Un “capannone” era composto da tredici stanze/casette, ognuna con ingresso indipendente che dava sull’esterno, il pavimento era in terra battuta/cemento e il tetto aveva travi di legno e tegole. Tra gli arredi era presente un tavolo, un solo letto, una cucina economica e le tende erano fatte con un misero telo;  in ogni stanza abitavano in media 5/6 persone. Dalle notizie che abbiamo si sa che gli adulti e gli anziani dormivano “comodi” nei letti perché il giorno dopo avrebbero dovuto lavorare mentre i bambini fino ad una certa età riposavano nei cassetti della cassettiera. Il bagno era unico e comune a tutto il capannone, con una vasca per lavare gli abiti, tre rubinetti di acqua non potabile e quattro latrine, il tutto per tredici famiglie. 

Nelle ultime due stanze viene illustrata la storia dei “capannoni” e di come erano formati: sono stati via via costruiti in zone ai margini, di scarsissimo valore economico e assolutamente inospitali, alla Navetta, al Cornocchio, Via Verona, Via Venezia, Via Toscana e al Castelletto. Molte persone hanno vissuto in quei luoghi anche per trent’anni. Tutti i capannoni erano recintati con filo spinato, le persone erano schedate e controllate da un guardiano, avevano un’entrata e un’uscita controllata ad orari precisi, con il coprifuoco, che impediva il lavoro notturno.

Nel secondo dopoguerra, all’inizio degli anni ‘50, iniziarono le opere di bonifica e demolizione e gli abitanti ebbero finalmente la possibilità di andare a vivere nelle case popolari con un netto progresso rispetto alle condizioni orribili di prima. Le ultime strutture furono abbattute nel 1970.

Oggi il termine “capannone” sta ad indicare una persona rozza e volgare, che urla e parla con un tono di voce alto e fastidioso, in riferimento al disprezzo nutrito per le persone che vivevano in queste costruzioni. La mostra è molto interessante ed importante, aiuta a capire le dinamiche della città e lo sviluppo del suo tessuto sociale ed urbanistico. Possiamo dire inoltre di avere capito meglio cosa si nasconde dietro a questo modo di dire, ” capannone” tipico della nostra zona: una storia dolorosa che parla di povertà e sopraffazione di una parte della città sull’altra. 

Emanuele Bonoretti, 4E

Un grazie a Centro Studi Movimenti e alla nostra bravissima guida Lorenzo Tore

 

 

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