Negli ultimi anni il tempo trascorso dalle persone davanti a uno schermo in movimento è aumentato con un ritmo esorbitante e rischia sempre più di andare ad alimentare una vera e propria dipendenza.
Di recente ho letto un libro intitolato “La tecnologia ci fa male?” che appartiene a una collana di libri di base per il XXI secolo: i danni causati dalla tecnologia alla nostra salute potrebbero essere evitati se solo fossimo più consapevoli, ma ne veniamo sopraffatti senza rendercene conto. Guardare a lungo uno schermo non è mai stata considerata un’attività ricreativa proficua per l’organismo e i lockdown a cui siamo stati costretti hanno incrementato notevolmente l’impiego di questo genere di svago. Stare in casa è noioso e internet con le sue seducenti trame è il tramite per eccellenza di distrazione dalle consuetudini quotidiane.
Uno dei tanti svaghi concessi da internet a tutti noi sono le serie tv, nate negli anni ‘60 del secolo scorso. Dando uno sguardo al loro recente passato, le serie sono state associate nell’ideologia comune a quei tipici programmi della domenica pomeriggio da guardare in famiglia come innocuo passatempo; ad oggi la loro fruibilità ha superato ogni aspettativa. Possono essere viste ovunque, in qualunque momento e con l’avvento di piattaforme come Netflix e Prime Video sono raggiungibili in maniera sempre più rapida e diretta. Non esiste più il concetto di attesa “dell’appuntamento della domenica pomeriggio”.
Il problema a parer mio però va ben oltre il concetto di “maratona”, legato quindi al tempo trascorso su uno schermo e alla dipendenza che questo può creare; la questione riguarda infatti anche e soprattutto il genere di contenuti proposti. Il problema dell’universo fiction, a differenza di quello dei film, è che più passa il tempo più la gente le consuma e più le nuove uscite si avvicinano gradualmente al limite dello scadente.
I film sono, generalizzando, opere d’arte; quando guardo un film con la F maiuscola invidio ai registi la capacità che possiedono nel creare opere di tale bellezza. Non dubito che esistano serie tv particolarmente dignitose e illustri (e al contempo film scadenti), ma non mi è mai capitato di imbattermi in una fiction così artisticamente e culturalmente altolocata quanto solo un film sa essere.
I film sono cibo prelibato, le serie tv sono sempre più vicine al cibo spazzatura. Come il cibo degli all you can eat, così funzionano le serie tv; al di là della consapevolezza necessaria da avere nel momento in cui si va ad ingerire cibo spazzatura nell’organismo, non è tanto il cibo in sé il problema, che se consumato in quantità limitate non da problemi, ma la frequenza con cui questo viene assunto. Il cibo da all you can eat è invitante e succulento, come le fiction, ma crea dipendenza e a lungo termine è dannoso per l’organismo. Inoltre cibandosi sempre e solo di junk food si va a sgretolare l’attività stessa del mangiare. Non mangiamo solo per sopravvivere. Abbiamo a che fare con il cibo ogni giorno, e il mangiare è una parte talmente importante nella vita di una persona che ridurre un pasto all’effimero piacere provocato dal contatto del cibo con i recettori sensoriali che abbiamo in corpo non è che un gesto masochista e degenerativo.
Lasciarsi trascinare dal piacere di conservanti e cibi ultra lavorati, così come dalle serie tv, è un processo involontario innescato inconsciamente dal proprio corpo. È necessario istituire consapevolezza nel proprio rapporto con le fiction, per evitare di “nuocere precocemente alla salute”. Un’attività tanto banale che nasconde rischi non trascurabili, corrosivi mentalmente e fisicamente, per la quale serve sempre più cognizione di causa.
“La chiave per raggiungere l’autodeterminazione, in uno scenario digitale che cerca di indirizzare le nostre scelte con un circolo vizioso a fini commerciali, è la comprensione e la consapevolezza di questi meccanismi.”
È difficile che si giunga alla consapevolezza di punto in bianco, ma è possibile fare progressi tramite una serie di piccoli passi. Esiste una tecnica universalmente conosciuta come “tecnica del pomodoro” (l’origine del nome per me è sempre stata mistica e ignota), citata nel libro, che prevede di sospendere l’uso di internet per 25 minuti, alla fine dei quali si riprende ad usarlo fino alla pausa successiva. Questa prima forma di allenamento dipende però più dall’astinenza che dalla comprensione e necessita quindi una parallela acquisizione di maggiore consapevolezza a riguardo.
“Più siete consapevoli del circolo vizioso, meno resisterete imbrigliati in un’abitudine inconsapevole e migliore sarà il vostro giudizio circa il valore delle vostre azioni.”
Tra i buoni propositi per l’anno nuovo ne ho inseriti alcuni inerente alla causa: in primo luogo sostituire gradualmente la mia fame di serie in fame di film, per dare più spesso la possibilità al mio palato di gustarne la bontà; in secondo luogo, non certo per importanza, avviare un leggero e graduale tentativo di digital detox, prima che il problema della dipendenza finisca per sopraffare anche me .
Alberici Martina 4E