Food for profit: interrogativi e riflessioni

Dopo la visione del documentario Food for Profit, realizzato da Giulia Innocenzi e Pablo D’Ambrosi, e che potete vedere qui, abbiamo aperto un tavolo di lavoro in classe, cercando di approfondire tutte le questioni che sono emerse dalla visione. Questa interessante inchiesta si occupa di temi molto attuali che hanno a che fare con la nostra alimentazione, con la gestione degli allevamenti intensivi, ma anche con i fondi europei che vengono destinati a questi. Di seguito, gli interrogativi che ci siamo posti, e le risposte che abbiamo cercato.

  • Cosa serve per un’alimentazione sana ed equilibrata?
    E’ vero che serve la carne? Quanta carne? 

Un’alimentazione equilibrata si basa sulla diversificazione dei cibi; perciò, è importante mangiare un po’ di tutto. L’importanza di questa varietà riguarda principalmente i valori nutrizionali e i micronutrienti. Ad esempio, secondo dei dati presi da una statistica fatta dall’EFSA nel 2012, per un adulto è consigliato assumere 0,83 g di proteine per kg di peso corporeo e un minimo di 0,5 g di grassi per kg di peso corporeo; per le donne, la quantità di grassi può arrivare fino a 0,8 g. La carne è ricca principalmente di vitamine del gruppo B, ma scarseggia di vitamine antiossidanti. Un’alternativa all’assunzione delle vitamine del gruppo B sono: latte vegetale, funghi, lenticchie, cereali e molte altre. 

È però fondamentale riconoscere che non tutti i grassi e le proteine sono uguali. In particolare, alcune proteine sono costituite da amminoacidi essenziali che formano quelle che vengono chiamate “proteine nobili”. Queste proteine non possono essere sintetizzate dall’organismo e devono quindi essere assunte tramite l’alimentazione. Oltre alla carne, una grande fonte di proteine può essere rappresentata da alimenti di origine animale, come le uova (la miglior fonte in assoluto), il latte e i suoi derivati, e infine il pesce.

Nel caso in cui si scelga di seguire u9na dieta vegana, cioè priva di alimenti di origine animale, è possibile variare l’alimentazione con cereali e semi oleosi, come mandorle, noci e nocciole, che, combinati tra loro, forniscono gli elementi necessari per la sintesi delle proteine nobili. Anche la pasta, contrariamente a quanto si possa pensare, contiene una parte delle proteine indispensabili.

Un altro vantaggio dei cibi vegani è che contengono grassi “buoni”, cioè insaturi i quali apportano benefici all’organismo senza alcun rischio, come l’omega-3, che sono importanti per l’organismo. Al contrario, la carne, soprattutto quella suina o quella proveniente da animali allevati in condizioni di scarsa mobilità e nutriti con cibo di bassa qualità, tende a contenere una maggiore quantità di grassi saturi.

Come risposta alla domanda: “è vero che serve la carne?” diremmo proprio di no, non è indispensabile dato che ogni nutrimento in esso contenuto può essere assimilato anche tramite alimenti non di origine animale; semplicemente basta variare ciò che si mette nel piatto ad ogni pasto.

https://www.efsa.europa.eu/it/press/news/120209#:~:text=Adulti%20(compresi%20gli%20anziani)%3A,primo%2C%20secondo%20e%20terzo%20trimestre.

https://www.lifegate.it/proteine_nobili_solo_dalla_carne

https://www.efsa.europa.eu/it/press/news/120209

 

  • Dovremo cambiare la nostra dieta e diventare vegetariani?

Quante volte da bambini ci è capitato di vedere una strana piramide con dei cibi disegnati e quante volte sono venute a scuola delle persone a spiegare l’importanza di un’alimentazione corretta? A noi è successo molto spesso e, ogni volta che si arrivava alla punta della piramide, i dolci, iniziavamo a fantasticare di mangiare una di quelle invitanti leccornie.

A differenza di quello che viene rappresentato nella piramide, ci siamo accorte che la nostra dieta è spesso rappresentata dal suo contrario, dove il consumo di carne e dolci è ben maggiore rispetto a quello di verdura e frutta.

Questo tipo di alimentazione, però, oltre che a danneggiare la nostra salute è pericolosa anche per l’ambiente. Infatti, con il consumo di carne attuale, ogni italiano emette il doppio di CO2 rispetto a quanto farebbe seguendo la dieta mediterranea originale, che fin dall’infanzia ci viene proposta.

Ma che cos’è, esattamente, la dieta mediterranea? 

La dieta mediterranea è un modello alimentare che si fonda sul consumo bilanciato e sostenibile degli alimenti tipici dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Questo tipo di dieta propone ricette tradizionali, basate sulla stagionalità degli alimenti e su una grande varietà nel consumo di frutta, verdura e legumi. Piatti come le minestre a base di legumi durante l’inverno, le insalate fresche con ortaggi di stagione in primavera, le zuppe di cereali in autunno e il consumo quotidiano di frutta fresca, di cui troviamo una grande varietà nella stagione estiva, rappresentano solo alcune delle tante preparazioni che caratterizzano questo regime alimentare. Grazie all’alternanza dei cibi, al rispetto dell’ambiente e a un ottimo equilibrio tra i vari macronutrienti, la dieta mediterranea porta grandi benefici a livello di salute sia mentale che fisica. 

Il sito dell’Humanitas, un ospedale di Milano, la definisce come “un importante fattore di prevenzione, soprattutto nelle patologie cronico-degenerative, quali il diabete, l’obesità e le varie sindromi metaboliche”.

Le prime osservazioni scientifiche a sostegno di quanto affermato dall’Humanitas vennero fatte nel 1945 dal biologo e fisiologo statunitense Ancel Keys. La sua ricerca, conosciuta come lo “studio dei sette Paesi”, mise a confronto la dieta statunitense con quella dei paesi Mediterranei per osservare i benefici e le criticità di entrambi i regimi alimentari. I risultati dello studio dimostrarono che quanto più una dieta si avvicinava agli schemi mediterranei, tanto minore era l’incidenza delle malattie cardiovascolari. Inoltre, la dieta mediterranea è supportata da istituzioni prestigiose come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’UNESCO, che l’hanno riconosciuta come Patrimonio Immateriale dell’Umanità, in quanto esempio di ricchezza culturale del territorio.

Lo stile alimentare migliore, perciò, è quello che privilegia il consumo di alimenti di origine vegetale e l’assunzione moderata di prodotti di origine animale, favorendo il pesce rispetto alla carne e limitando il più possibile gli alimenti processati. 

Inoltre, per diffondere l’importanza di una dieta sana e aumentarne l’adozione, è fondamentale il ruolo delle istituzioni che permettono, attraverso programmi di educazione alimentare fin dall’infanzia, di prendere decisioni più consapevoli e promuovono uno stile di vita sano. Solo così, unendo la consapevolezza individuale con il supporto delle pubbliche istituzioni, potremo creare un cambiamento verso una dieta più equilibrata, sostenibile e salutare per tutti.

Fonti:

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/alimentazione/dieta-mediterranea-una-piramide-di-salute 

https://www.humanitas.it/news/dieta-mediterranea-perche-fa-bene-alla-salute-e-all-ambiente/

https://www.lifegate.it/proposta-legge-contro-allevamenti-intensivi#:~:text=Un%20gruppo%20di%20associazioni%20ambientaliste%20ha%20presentato%20alla%20Camera%20dei,produzione%20insostenibile%20degli%20allevamenti%20intensivi.&text=Gli%20 allevamenti%20 intensivi%20sono%20 sistemi,della%20salute%20 umana%20e%20 ambientale.

https://www.pnrr.salute.gov.it/portale/dietaMediterranea/dettaglioContenutiDietaMediterranea.jsp?lingua=italiano&id=6184&area=dietaMediterranea&menu=vuoto

 

– Perché l’Unione europea non definisce cosa è un “allevamento intensivo”? E quanti allevamenti presunti tali ci sono nella nostra regione?

Quasi sicuramente, almeno una volta, è capitato a tutti di andare al supermercato con i nostri genitori: latte, uova, pane, pasta, ci sono tutti. Al momento di prendere la carne al banco enogastronomico però, sentiamo pronunciare la famosa frase: “Ma no!  Qua la carne non la prendo, viene tutta dagli allevamenti intensivi ed è piena di antibiotici! Meglio andare dal macellaio!”.

Ed in effetti non è un’affermazione affatto sbagliata, se non fosse che il termine “allevamento intensivo”, non è mai stato definito dall’Unione Europea! In virtù di questo fatto, l’UE non ha mai emanato una normativa che regolamenti ciò che avviene in questo settore, di fatto non riconosciuto e quindi  privo di leggi che ne promuovano il corretto funzionamento. Di conseguenza risulta molto difficile essere un consumatore consapevole, in grado di dire da dove provenga la carne che mangia e certo di non assumere sostanze nocive.

Questo perché un numero sempre crescente di animali, sia negli stabilimenti avicoli che in quelli bovini, viene allevato in condizioni igieniche precarie: numeri esorbitanti di animali vengono stipati in magazzini non aerati, dove molti di loro muoiono e quelli che sopravvivono sono sottoposti a pesanti cicli antibiotici, al fine di sopravvivere e di giungere alla fine del processo produttivo.

Coloro che ci riescono vengono macellati e spediti in massa alle grandi catene di distribuzione, fino ad arrivare a noi, che rischiamo di ingerire carne carica di malattie ed alti dosaggi di antibiotici (con tutti i rischi del caso, primo fra tutti lo sviluppo dell’antibiotico-resistenza).

Anche la diffusa convinzione che il proprio “macellaio di fiducia” ci fornisce la carne migliore, crolla sotto il peso della fatidica domanda: “Anche i suoi prodotti provengono da allevamenti intensivi, oppure no?”. Viene quindi spontaneo chiedersi perché questi processi così dannosi non siano mai stati messi al bando.

Ebbene, un interessante servizio di Report, attraverso una serie di foto ed interviste ottenute in Europarlamento e in giro per i vari allevamenti irregolari d’Europa, dimostra come ci sia tutto l’interesse da parte dell’Ente Europeo perché la situazione rimanga immutata.

Ingenti flussi di denaro infatti regolano le politiche deliberate dall’UE in materia di allevamento e agricoltura, che spesso sono in forte conflitto d’interesse con chi le vota e le promuove, finanziato dagli stessi allevamenti intensivi. Si viene a creare in tal modo, un circolo vizioso che promuove l’interesse dei pochi, che accumulano ingenti profitti, e che danneggiano noi consumatori.

Secondo i dati forniti dall’Anagrafe Nazionale, in Italia gli allevamenti sono circa quattrocentomila. Il numero di quelli intensivi però, non è ovviamente riportato e quindi è necessario fare delle stime. Se dividiamo il numero di allevamenti sopracitato per le venti regioni italiane troviamo che la media è di circa ventimila allevamenti in ogni regione, che nonostante la difformità tra il numero di allevamenti del nord e quelli del sud Italia è comunque una buona approssimazione.

A questo punto prendiamo in considerazione un dato fornitoci da Greenpeace, la quale dichiara che l’80% del denaro destinato dall’Europa agli allevamenti italiani, viene reindirizzato agli allevamenti intensivi.

In conclusione, se vogliamo una stima sufficientemente precisa, possiamo affermare che in ogni regione italiana sono presenti circa tremila allevamenti intensivi, per un totale di sessantamila in tutta la nazione.

 

  • Come si fa a scegliere la carne giusta dall’allevamento giusto? Quali sono i parametri? 

Ai giorni nostri, purtroppo, è veramente molto complesso trovare un allevamento “giusto”, ovvero rispettoso delle condizioni di vita dell’animale, che permetta a questo di vivere una vita “degna d’essere vissuta”; questo accade perché la stragrande maggioranza degli allevamenti risulta essere “intensivo”.

Il termine “allevamento intensivo” non è una definizione legalmente esistente, tuttavia, il nocciolo della questione è un insieme di spazi al chiuso, stretti e bui, nei quali vengono confinati gli animali, ridotti a vere e proprie “macchine da carne”. 

Come non esiste la definizione di “intensivo”, non esiste nemmeno quella del suo contrario, pertanto non risulta proprio spontaneo dichiarare le condizioni in cui un animale da allevamento deve essere trattato per essere rispettato. Vari reportage ed inchieste, nei quali vengono esplicitamente mostrati i maltrattamenti che il bestiame è costretto a subire, proprio come il recente docufilm della giornalista Giulia Innocenzi “Food for Profit”, portano inevitabilmente una percentuale degli italiani a provare sdegno a tal punto da rinunciare di mangiare carne, così da non appoggiare le aziende che la vendono. 

Per coloro che sono un po’ più forti di stomaco è riservata una domanda (che non è se sia giusto mangiare carne animale o meno): è corretto spendere qualche soldo in più per comprare carne animale da un’azienda che alleva il proprio bestiame rispettandolo per quello che è? 

Teoricamente parlando, è giusto fare qualche sacrificio in più con il proprio portafoglio: è meglio sia per quanto riguarda la qualità di ciò che si mette in tavola sia perchè non si va a dare sostegno economico a quelle aziende che abusano degli animali con la giustifica dell’ “allevamento intensivo”.

In Emilia Romagna soltanto il 10% degli allevamenti non è intensivo, ciò detto, si evince la difficoltà concreta della ricerca di una carne prodotta con il pieno rispetto dell’animale. Molti cittadini continuano a comprare carne più economica, perché in un Paese senza salario minimo o dove il tasso di povertà nelle famiglie corrisponde a quasi il 10%, gli italiani pensano a “portare la pagnotta a casa”, a massimizzare la spesa possibile con quel che si guadagna lavorando; in parole povere, “poca spesa, molta resa”.

Pertanto, si possono vedere tutti i docufilm come “Food for Profit” del mondo, ma quelle famiglie non possono, all’atto pratico, cambiare il loro stile di vita o cambiare la carne che si acquista. Superato il problema del costo, si ha il problema della reperibilità. Questo perché ci vuole molto più impegno e molta più dedizione al proprio lavoro per mantenere un allevamento rispettando l’animale come essere senziente, piuttosto che mandarlo a scoppiare in un allevamento intensivo.

Una volta superati tutti questi ostacoli, forse riusciremo ad avere la coscienza a posto, ma quanti consumatori potranno e vorranno permetterselo? 

Nella provincia di Parma, l’Azienda Agricola “Al Fusinaro”, situata a Monchio delle Corti, è nota per il suo allevamento non intensivo. Qui gli animali vengono allevati nel rispetto dei ritmi naturali, con ampi spazi all’aperto che consentono loro di muoversi liberamente. L’azienda punta sulla sostenibilità, utilizzando alimenti naturali per nutrire gli animali e garantendo loro un trattamento etico, lontano dalle logiche dell’allevamento industriale.

Un altro esempio è l’Agricola San Paolo, specializzata nell’allevamento di suini neri di Parma, manze da carne e animali di bassa corte. Gli animali vivono principalmente all’aperto e vengono nutriti con cereali e foraggi di alta qualità prodotti in loco. Questo approccio favorisce non solo il benessere animale, ma anche una produzione di carne di altissima qualità, in linea con le tradizioni locali. Entrambi gli allevamenti dimostrano che è possibile coniugare il rispetto per gli animali con l’eccellenza gastronomica.

 

– L’uomo è l’unico essere senziente, dice Lollobrigida ministro dell’agricoltura. 

Cos’è un essere senziente? La domanda è sorta spontanea a molti coloro che hanno ascoltato il 27/4/2024 il discorso del ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida, e che non avevano piena conoscenza del termine. Dopo aver cercato sul dizionario la definizione di essere senziente, tutti questi individui hanno capito di trovarsi davanti solo ad un’altra delle numerose gaffe di Lollobrigida. Perché? Perché la definizione di senziente, dal dizionario Treccani, è: “dotato di sensi, di sensibilità” e, come è risaputo, gli animali possiedono questi sensi. Chi ha voluto approfondire ulteriormente, ha trovato anche la definizione data dal biologo e biochimico Enrico Bucci: “capacità di percepire stimoli, integrarli ed elaborare una risposta complessa a livello ”cerebrale.

La definizione di essere senziente, dunque, non si limita solo agli esseri umani, ma include tutti gli animali dotati di un sistema nervoso. Ad esempio, molti studi scientifici hanno dimostrato che diverse specie animali come i delfini, gli elefanti e diverse razze di uccelli, possiedono una incredibile capacità di risolvere problemi, comunicare tra di loro e provare emozioni simili a gioia, paura, empatia e tristezza.

Per di più, la consapevolezza dell’esistenza del dolore e di altre emozioni in molti animali è un altro elemento che indica la loro sensibilità e quindi, la loro coscienza. Difatti molte leggi di diversi paesi identificano gli animali come esseri senzienti, custodendoli dal maltrattamento proprio in virtù della loro capacità di soffrire. 

 

  • Gli animali sono a completa disposizione dell’uomo? Perchè alcuni li amiamo e altri li mangiamo?

Se gli animali siano o meno a completa disposizione dell’uomo è un argomento complesso che dipende dal punto di vista che si vuole adottare. Storicamente e in molte culture, gli esseri umani hanno sfruttato gli animali per scopi pratici come il cibo, il lavoro, la compagnia o la produzione di beni (pelli, lana, latte, ecc.) e questo ha portato alla percezione che la vita degli animali dipenda esclusivamente dell’uomo.

Attualmente, invece, come riportano gli studi eseguiti da Steve Loughnan dell’Università di Melbourne e dal suo team, mangiare un animale “consapevole” e “pensante”, ad esempio un cane, è percepito come più immorale e disgustoso rispetto al mangiarne uno  “meno consapevole”, come un maiale

Ma i maiali sono veramente meno consapevoli? L’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, afferma che i maiali possiedono notevoli doti cognitive. Essi sono infatti più intelligenti dei cani, imparano velocemente e hanno un’ottima memoria. 

Le loro capacità sono però spesso sminuite e dimenticate, in quanto, come spiega l’associazione Essere Animali, «Non si ha alcun interesse a mettere in luce le caratteristiche che potrebbero rendere le persone troppo empatiche verso ciò che generalmente è considerato “carne”».

Queste percezioni, combinate tra loro, formano il punto di vista che ciascuno di noi tende ad assumere; alcuni non mangiano la carne, altri invece solamente quella di animali da pascolo.

Un esempio chesuscita non poco sconcerto è il famoso festival della carne di carne di Yulin, una città nel sud della Cina. Ogni 21 Giugno infatti avviene la macellazione di migliaia di cani e gatti (la maggior parte dei quali  rubati o randagi presi dalla strada)  destinati al consumo umano. 

La nostra relazione con gli animali riflette la nostra stessa umanità. Come sottolineato dallo stesso Steve Loughnan,  “mangiare un animale consapevole” solleva dilemmi morali che non possono essere ignorati. Se i maiali sono più intelligenti di quanto immaginiamo e se ogni animale possiede un valore intrinseco, come possiamo giustificare la loro sofferenza per scopi alimentari? 

La parte più difficile è riconoscere il rispetto per la vita, in tutte le sue forme, perché è da qui che potrà nascere una società con ideali di paritari per ogni specie.

Fonti:

 

  • C’è un modo per superare la legge del profitto? Chi ci rappresenta decide pensando ai soldi che prende dalle lobby o al bene di chi lo ha eletto? 

La legge del profitto descrive un’economia secondo la quale l’obiettivo principale diventa massimizzare il profitto dell’azienda. Questo porta a guadagnare del denaro in grandi quantità a discapito di tutto.

Per risolvere il problema della legge del profitto bisognerebbe ridimensionare tutto il mondo del commercio e dell’economia; dobbiamo fare una scelta: il benessere degli animali o l’economia dell’azienda. L’economia europea non può essere considerata tra le più ricche e stabili, non sarebbe in grado di investire una grande quantità di denaro in una manovra tale da attuare dei cambiamenti drastici. Da un punto di vista umanitario e ambientale però questo sarebbe necessario: gli allevamenti intensivi stanno creando ancora più inquinamento ambientale, i lavoratori fanno orari improponibili per un salario estremamente basso e gli animali vengono continuamente maltrattati.

Una delle principali cause per cui nessuno propone una riforma a favore delle piccole aziende agricole è per via della questione economica. I nostri politici spesso non agiscono per il bene della collettività, ma pensano prima ai loro interessi, ritrovandosi quindi vincolati da vari legami e intrecci economici. Gli allevamenti intensivi rendono maggiormente e per questo ricevono più sussidi. I politici spesso non pensano affatto al bene di chi li ha eletti; la loro campagna elettorale punta solo sul farsi votare per arrivare alla rinomata Bruxelles. Dante affronta la questione della corruzione, affondandone i rappresentanti nei meandri dell’inferno; noi potremmo condannare i politici corrotti scegliendo di non votarli. 

 

  • Quali sono i rischi reali per l’uomo di queste politiche agricole, di questa alimentazione industriale? Cosa significa il salto di specie? 

 

L’uomo può andare incontro a numerosissimi rischi per colpa, rispettivamente, delle politiche agricole e di questa alimentazione industriale. Uno dei fenomeni più gravi prende il nome di antibiotico resistenza. Questo grave fenomeno consiste nel fatto che i batteri che hanno infettato gli animali, essendo costantemente bombardati da farmaci per eliminarli, sviluppano nel tempo una barriera che li rende man a mano sempre più immuni. Questi agenti patogeni, quindi, mantengono la stessa immunità anche quando infettano gli esseri umani e, di conseguenza, diventa sempre più difficile curare queste patologie. Come riferisce CIWF Italia “ogni anno, in UE, la resistenza agli antibiotici provoca 33 mila decessi e una spesa sanitaria di 1,5 miliardi. A detta dell’OMS è “una delle maggiori minacce per la salute globale”.

Ma come fanno le malattie a trasmettersi agli umani?

Grazie al cosiddetto fenomeno del “salto di specie”. Il salto di specie è un processo naturale per cui un patogeno degli animali evolve e diventa in grado di infettare, riprodursi e trasmettersi all’interno della specie umana.

Ultimamente abbiamo sperimentato più da vicino questa paura con il fenomeno della peste suina, che ha causato il decesso di centinaia di questi animali e che per molto tempo ha creato il rischio di una trasmissione anche a noi.

Oltretutto un ulteriore problema risiede nel fatto che questi antibiotici, attraverso le urine e le feci animali, finiscono nelle acque sotterranee, contaminando le falde acquifere e inquinando l’ambiente. Farmaci che, ricordiamo, sono sovrasfruttati illegalmente dagli allevamenti intensivi per compensare gli ambienti malsani in cui vivono gli animali.

Come riferisce Greenpeace, inoltre: “in Italia gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di formazione del particolato fine, essendo responsabili di quasi il 17% del PM2,53 (più del settore industriale, che ne emette il 10%).”

Gli allevamenti intensivi non costituiscono solo un problema per la salute umana ma anche un chiaro sfruttamento degli animali che vengono maltrattati e lasciati vivere in condizioni non sane. Il problema viene dall’alto e dal fatto che queste condizioni sono ignorate a favore della maggiore produttività e di un guadagno maggiore.

In ogni caso ritengo fondamentale consumare carne per molti aspetti. Non solo per mantenere una dieta equilibrata ma anche per portare avanti la produzione di prodotti tipici come, ad esempio a Parma: Crudo, Salame, Coppa, Anolini…

Alimenti che, chiaramente, dovrebbero essere limitati nel consumo e i quali ingredienti dovrebbero essere acquistati, nei limiti delle possibilità economiche delle famiglie, in allevamenti locali e non intensivi.

Un consumo eccessivo, però, può risultare pericoloso per la salute, come riferisce la fondazione AIRC per la ricerca sul cancro: “… gli epidemiologi concordano sul fatto che gli individui che seguono diete ricche di proteine animali, soprattutto carni rosse e lavorate, hanno un maggior rischio di sviluppare patologie come diabete, infarto e problemi cardiovascolari, obesità e cancro”.

E’ quindi importante trovare un proprio equilibrio tra le proprie possibilità economiche e un consumo di alimenti che favoriscano l’ambiente ma, in primo luogo, la nostra salute.

 

Fonte: https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/tools-della-salute/glossario/spillover-salto-di-specie#:~:text=Il%20salto%20di%20specie%20

 

  • Come si ottiene la carne coltivata? E’ buona? Quanta se ne vende in Italia e nel mondo?

Una delle cause principali del cambiamento climatico e delle problematiche relative alla salute pubblica è il sistema di produzione della carne, incentrato su allevamenti intensivi e sullo sfruttamento di animali in modo da guadagnare il più possibile minimizzando i costi. Negli ultimi anni sono state ideate diverse altre fonti da cui produrre la carne in modo da ridurre e affrontare i vari problemi che sono legati alla carne convenzionale, tra cui la carne coltivata e stampata. 

Claire Bomkamp, scienziata a capo del dipartimento per la carne e i frutti di mare coltivati presso il Good Food Institute, afferma che è “la stessa cosa della carne tradizionale, ma “togliendo dal processo produttivo gli animali”. Il primo passo per la creazione di carne coltivata prevede l’utilizzo di cellule animali, staminali o satellite, ossia capaci di rigenerare i muscoli, formando, così, una produzione di carne illimitata incredibilmente simile a quella a cui siamo abituati. Queste cellule vengono poi coltivate in laboratorio in un ambiente controllato, dove crescono per formare tessuti muscolari che replicano la carne animale.

“Quando ne ho sentito parlare per la prima volta, ero decisamente scettica”, ammette Bomkamp, “poi ci ho riflettuto e ho capito che si trattava di qualcosa che poteva avere molti vantaggi”. Gli aspetti positivi di una produzione a carne coltivata sono molteplici, relazionati soprattutto all’ambiente, agli animali, ma anche alla composizione della carne stessa, che, al contrario di quella convenzionale, è priva dell’uso di coloranti o additivi. D’altra parte, però, ci sono anche diversi svantaggi riguardanti la salute, data l’incertezza sulla sicurezza a lungo termine dei consumatori. Infatti, un cambiamento significativo della produzione di carne potrebbe incidere sulla perdita di occupazione di numerosi lavoratori e il costo elevato per la produzione della carne coltivata potrebbe causare un aumento del prezzo.

L’altra tipologia di carne presa come alternativa a quella che mangiamo oggigiorno è la carne stampata 3D che può essere anche di base vegetale, come dicono molti siti tra cui “Medicair” e “Cibo today”. Presentata per la prima volta a Londra nel 2013 ed oggi denominata come “carne sintetica”, è una delle opzioni che ci potrebbe aiutare nell’impatto del nostro stile di vita, migliorando anche l’ambiente che ci circonda. 

Questa nuova tipologia di carne utilizza come proteine la farina di soia e di piselli che poi vengono mischiate a cereali, olii, acqua ed aromi vegetali in modo tale da realizzare prodotti dal punto di vista nutrizionale, di consistenza e di sapore paragonabili alla carne animale che mangiamo nella nostra vita quotidiana. Questi ingredienti vengono poi posti in contenitori differenti all’interno di una stampante 3D, la quale è fornita delle istruzioni per ricreare la carne voluta, come manzo, pollo e anche pesce. 

Molte persone che non hanno mai assaggiato questo tipo di carne si chiedono che gusto abbia e la risposta ce la dà “Medicair”:  “ numerosi critici gastronomici hanno ormai testato non solo la carne coltivata ma anche quella stampata in 3D, sostenendo che, sia alla vista che al palato, le differenze con la carne tradizionale siano praticamente nulle.”

Oggi, la carne coltivata e stampata in 3D è ancora in fase di sviluppo, con una disponibilità limitata a pochi paesi. Singapore, che, a dicembre del 2020, ha annunciato la produzione di un alimento a base di carne coltivata in laboratorio, un “pollo coltivato”, è l’unico paese che ha autorizzato la vendita di carne coltivata, mentre Israele, sebbene non sia ancora stata autorizzata la vendita ufficiale, è uno degli altri Stati che si occupa di carne coltivata in cui addirittura nel 2020 è nato il primo ristorante. Proprio in  Israele ha sede la maggiore azienda che si occupa di produzione di carne sintetica: “Redefine Meat”, la quale fornisce i suoi prodotti a circa 3000 ristoranti in Europa, di cui 15 italiani situati a Milano, Roma ed altre città, sebbene l’Italia abbia recentemente promulgato una legge che vieta la produzione e la vendita di carne coltivata, in quanto, secondo il Parlamento, la carne coltivata ostacola il prestigio e la salute del patrimonio agroalimentare italiano. Grazie allo studio di Exactitude Consultancy, inoltre, ricaviamo importanti dati dove si prevede  un aumento esponenziale del mercato a livello globale di questo prodotto, il quale crescerà dai 178,64 miliardi di dollari del 2023 fino a 504.88 miliardi di dollari per il 2030, con un incremento del 182.62%.

Ma tralasciando domande futili come “La carne coltivata e quella stampata in 3D sono buone?” o “Come si evolverà il loro mercato?”, la domanda oserei dire più importante è: “Possono questi prodotti, creati dall’intelletto dell’uomo, rivoluzionare la nostra vita di tutti i giorni, salvandoci dalle miriadi di conseguenze causate dalla nostra dieta alimentare?”

La carne coltivata e stampata in 3D, sebbene ci siano ancora molti dubbi a riguardo, non è solo un’innovazione tecnologica, ma potrebbe segnare una rivoluzione nel nostro sistema alimentare globale. Non possiamo che affidare il nostro futuro all’ingegno dell’uomo, sperando che questo non faccia cilecca. 

 

Fonti:

Alunne e alunni di 3E

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