Un tonfo.
Sobbalzo sul letto. Il mio cuore è un tamburo e minaccia di rompere le costole che lo ingabbiano dentro di me.
Sono le 03.17 di notte. Ho freddo. Non riesco a dormire.
Mi avvio alla finestra della mia stanza arrancando alla cieca. Osservo il cielo in cerca di pace e tranquillità. Le stelle brillano ovunque. E’ così sereno lassù; così silenzioso ed estremamente semplice, ma assolutamente complesso. La luna, compagna fedele, guardiana silenziosa, illumina la campagna con la sua tenue luce. Mi perdo nella sua bellezza e nella sua pura essenza.
Ho la necessità di disegnare: apro i cassetti e afferro fogli e matite. Mi siedo sul pavimento che è una lastra di ghiaccio. Non importa, ho tutto ciò che mi serve per sentirmi bene.
Inizio a disegnare. Lascio scorrere la mia mano sul foglio illuminato da un raggio lunare che mi indica che forme dare ai miei pensieri. Il carboncino nella mia mano; il suo rassicurante peso è di estremo conforto. Presto le mie mani si sporcano di grafite; i fogli si riempiono di ombre e di forme scure.
Sono le 04.23 e ancora la mia mano non si ferma. Brama di disegnare ancora e ancora.
La luna accarezza gentilmente il tappeto di disegni che ho creato. Li sfiora, come se li reclamasse come suoi figli.
Le mie mani sono nere come la notte che abbraccia il mondo. Si placano.
Sono stanca. Ascolto il mio cuore. Si è calmato anche lui.