Lettera ai piani alti: ci servono certezze!

Cari piani alti, 

Sono Alessia, una ragazza di quasi diciotto anni che attende, seduta alla scrivania, il “via libera” per il ritorno alla vita reale. 

Ho deciso di rivolgermi a voi, perché il mio impegno e quello di tanti altri studenti, che stanno facendo il possibile per mettere in pratica le vostre richieste, è grande, ma spesso ci sentiamo tagliati fuori. E come noi, anche tanti imprenditori italiani, costretti a correggere orari e inventarsi nuove strategie, ogni settimana, per adeguarsi alle vostre continue modifiche delle regole. Negozi che oggi sono aperti e domani chi sa, ristoranti che non sanno di quanto approvvigionamento hanno necessità, non potendo pianificare per quanti giorni avranno una continuità lavorativa.

Quanti rinvii dovremmo ancora accettare a testa bassa? Quanti altri negozi dovranno tirar giù la saracinesca per mancati guadagni? Quanti altri giovani imprenditori dovranno rinunciare al loro progetto partorito pochi anni fa, quando ancora vedevano davanti un futuro lavorativo e ora non hanno prospettive? Quanti altri studenti dovranno diventare dipendenti da farmaci per dormire o far passare l’emicrania, causata dall’uso continuo di computer, tablet o smartphone e dalla mancanza di possibilità di dar sfogo alle energie che sviluppiamo in questa specifica fascia di età? Siete stati adolescenti anche voi. 

Nessuno è un indovino, perciò risulta veramente difficile rispondere a queste domande, e ne sono consapevole, anche perché non si sa prevedere nemmeno cosa succederà da qui a un mese. Non sottovaluto la pandemia e ho estremo rispetto nei confronti di chi soffre. Tuttavia continuare a bombardarci con false speranze seguite da nuove restrizioni altalenanti non è la soluzione. 

Tutti hanno bisogno di certezze. Tutti hanno bisogno di avere una data, che potrebbe anche non essere tra due o sei mesi. Ma il continuo rinvio, come l’apertura delle scuole, non fa altro che alimentare le speranze dei cittadini, per poi rigettarli nello sconforto più assoluto. Mi piacerebbe dire che sto esagerando, ma purtroppo questa è la nuda e cruda verità.

“Dire a un malato: “tra due mesi torna a casa”, e dopo un mese correggersi dicendo: “gli esami vanno bene, domani torna a casa” – è molto meglio che dire “la settimana prossima torna a casa”, e poi correggersi “no, ci sono ancora problemi, ancora quindici giorni”, ecc”.

Queste le parole del Dirigente Scolastico del Liceo Romagnosi di Parma, prof. Guido Campanini, in una lettera indirizzata agli studenti. Infatti la decisione migliore per tutti sarebbe quella di smettere di fare gli indovini e dare un data, anche lontana, ma quasi certa. In modo che, se dovessero presentarsi nuovi miglioramenti, questa data potrebbe essere anticipata, con quel tanto atteso “gli esami vanno bene, domani torna a casa”. 

In altre nazioni le chiusure sono state da subito importanti ma pianificate e appoggiate da un rapido supporto economico. Sono giovane e impreparata a riguardo, ma la mia mente è abituata a porsi delle domande e il dubbio mi viene: non è che, per caso, avete scelto di non adottare una chiusura decisiva per giustificare la mancata erogazione di supporti economici? 

I cittadini hanno bisogno di certezze, perché di fronte alla paura del contagio sarebbe utile poter fare affidamento su qualche sicurezza data da voi, che siete sempre sulle bocche di tutti. Infatti a maggiori certezze, segue spesso una crescente voglia di rispettare le norme, in attesa del famoso “ritorno alla normalità”, che, seppur lontano, dona sempre quella sensazione di fievole speranza.

 

Alessia Naso

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