Continuo a studiare o vado a lavorare? Mi trasferisco o resto a casa con i genitori? Quale carriera lavorativa intraprenderò? Da grande voglio vivere in Italia o all’estero?
Al termine del percorso liceale, sono queste le domande che continuano a ronzare nelle teste dei giovani. Per rispondere, bisogna analizzare il contesto in cui ci si trova. In particolare, bisogna capire cosa questo contesto sia in grado di offrire.
I dati, in questo senso, parlano chiaro.
Dal punto di vista lavorativo, l’Italia ha veramente poco da offrire alle nuove generazioni. Infatti, a Marzo 2022, secondo i dati ISTAT, il tasso di disoccupazione è salito a 24.5% tra i giovani. Ciò significa, che un ragazzo su quattro non riesce a trovare lavoro in Italia ed è costretto ad emigrare. Inoltre, dando uno sguardo al futuro, l’OCSE ha fatto sapere che in alcuni Paesi come l’Italia, entro il 2050, “il numero di persone anziane fuori dal mercato del lavoro potrebbe essere quasi uguale o superiore a quello dei lavoratori”. Perciò, cosa potrà mai offrire un Paese in cui l’indice di vecchiaia è così elevato?
Dal punto di vista ambientale, invece, l’OMS riferisce che la percentuale del carico delle malattie attribuibili a cause ambientali è del 14%, per un totale di 91.000 morti all’anno, di cui 8.400 per inquinamento atmosferico. Per non parlare poi del fatto che ci sono nove città dell’Emilia-Romagna, tra cui Parma, tra le prime 100 nella classifica europea sul tasso di mortalità da polveri sottili. Questi dati parlano di noi, come possiamo ignorarli? Ma soprattutto, per quale motivo un ragazzo giovane dovrebbe restare in Italia quando sa di dover obbligatoriamente rientrare in quel 75% di lavoratori retribuiti e, allo stesso tempo, nell’85% di persone non affette da malattie causate dall’inquinamento, per vivere una vita dignitosa?
Rimanere con le mani in mano ad osservare l’indice di vecchiaia che aumenta esponenzialmente potrà mai essere la soluzione? L’Italia è realmente pronta ad apportare un cambiamento che sia significativo?
Dall’altro lato, invece, il fattore ambientale è quello per cui ciascuno può e deve fare qualcosa.
Parliamoci chiaro, l’ambiente non può essere salvato da una sola Greta Thunberg o dal singolo Jovanotti o Dicaprio, che decidono di schierarsi dalla parte dell’ambiente, per chiedere ai governi un maggiore impegno nel contrasto ai cambiamenti climatici. Per apportare un reale cambiamento nel mondo, serve che ogni singola goccia dell’oceano che chiamiamo popolazione, faccia la sua parte. Non c’è più tempo. Non possiamo più permetterci di ignorare la sporcizia ai lati della strada o di fare spallucce se non siamo Micheal Jordan e manchiamo il cestino, facendo cadere il pezzo di carta per terra. La scusa “tanto è biodegradabile” ha smesso di essere valida da quando si è scoperto che una sigaretta senza filtro impiega 12 mesi per dissolversi. 12 mesi. Un anno per degradare una cosa così piccola e fatta prevalentemente di carta: bisogna eliminare anche questa scusa dalla lunga lista e iniziare a fare qualcosa.
Tuttavia, anche la sola partecipazione delle goccioline, spesso, non è sufficiente: è innegabile la necessità di scelte politiche immediate, coraggiose e risolutive. Questo non è più un problema da sottovalutare, perché, nel momento in cui la popolazione muore a causa dell’inquinamento di acqua, aria e terreno, tutto il resto passa in secondo piano, o, almeno, così dovrebbe essere.
E’ ora di fare delle scelte, di prendere delle decisioni, di rendersi partecipi e protagonisti del cambiamento che si vuole vedere nel mondo. Si lascino da parte pigrizia e polemiche e si inizi ad agire.
Alessia Naso
foto di Liceo Bertolucci