Terminando la lettura il primo pensiero che mi è passato per la mente è stato:”Quest’uomo ha usato la scrittura come testimonianza del vero e quello che lui dice in questo capitolo o meglio in queste storie ora è indelebile.” Capisco che questo è lo scopo di tutti gli scrittori, ma se tutti gli scrittori del mondo scrivessero come Bartòlo temerei ogni libro. Ciò che mi fa tanta paura e mi ha trattenuta in uno stato di angoscia e tensione perenne fino alla fine è la realtà dei fatti accaduti, delle storie dei ragazzi e ancor più quelle delle ragazze. All’inizio il dottore racconta di Anila, di come l’ha trovata sola e impaurita sulle spiagge, le ustioni, lo psicologo e la visita dalla ginecologa. Solo un accenno che per un uomo può sembrare forse meno reale, ma il solo pensiero che una ragazzina appena più giovane di me sia stata oggetto di abusi sessuali e che sia sopravvissuta anche al peso psicologico di un tale oltraggio mette la pelle d’oca. Bartolo si è concentrato sul rendere protagoniste queste storie e ci è riuscito senza dubbio ma quello che ho apprezzato è stato anche il suo contributo personale ossia il riportare i suoi pensieri, le sue impressioni, ciò che ha provato. Mi basta pensare a quante persone contino su di lui ogni giorno per capire la grande responsabilità che ha sulle spalle e in più molto belli i riferimenti che fa a sua moglie e ai suoi più cari amici che lo appoggiano nel suo lavoro anche se questo impegna la maggior parte della sua vita. In conclusione ho apprezzato molto questo libro perché mi ha sensibilizzata e resa più consapevole sul fenomeno dell’immigrazione più di ciò che fanno i giornali e i documentari, perciò lo consiglierei a tutti coloro che come me hanno bisogno di conoscere per riuscire ad avere un pensiero critico sul mondo che mi circonda.
Dopo la lettura “Le stelle di Lampedusa”, mi sono sentita un’ ignorante in materia. “L’immigrazione” è un titolo quotidiano sui giornali o TG, ma quello presentato è solo un “numero”, statistiche e percentuali di quante persone sono sopravvissute o annegate. “Non sapere” è un male, per questo il mondo intero vede le continue migrazioni come una cosa negativa. Ma, non sanno che quelle persone per giungere fino in Italia, hanno sfidato la morte, attraversando l’inferno, ovvero un lungo viaggio nel deserto, in Libia, terra di abusi e violenze, e poi in mare su barche che non sono degne di definirle tali. Chi arriva in Italia ha la speranza di avere un futuro, anche se parte di loro rimane incatenata al passato a causa del vudú e soprattutto in campo economico,in quanto devono ingenti somme all’organizzazione che ha organizzato loro il viaggio infernale. Perché tutto questo odio per queste persone? Sicuramente, se non fossero così disperate, non azzarderebbero un viaggio verso “l’incerto” e non diventerebbero schiavi dell’organizzazione se non avessero la speranza di essere liberi, un giorno.
Nel suo libro, Pietro Bartolo mette in primo piano la storia di Anila. È una storia davvero commovente e quasi irreale, poiché sono raccontati fatti che per la loro atrocità e crudeltà sembrano assurdi, come il viaggio che hanno dovuto affrontare sia Anila che sua mamma e anche quando Anila, una volta arrivata in Italia, ha dovuto aspettare mesi e mesi prima di poter vedere sua madre.È inconcepibile, che Anila, che una bambina di soli undici anni, dopo aver affrontato l’inferno, si trovi in una sorta di purgatorio, in cui vi è attesa e dolore, prima di poter arrivare al suo piccolo paradiso, riabbracciare la madre.
La realtà spaventa e, forse, è per questo che molti preferiscono non sapere.Ma credo che ,invece, tutti dovrebbero conoscere la realtà, perché solo così potrà cambiare qualcosa. Quindi, perché preoccuparsi di numeri? Quando il vero problema è l’umanità. Dalila Ferrari
“Il dramma dei migranti oggi è diventato solo un titolo di copertina, una manciata di parole, un bel racconto per immagini al TG delle venti, poco prima della cena e dello show serale. Niente di più”. (dal capitolo XIV).
Questo libro ha suscitato in me emozioni molto diverse e contrastanti tra di loro, ma tutte riconducibili ad un’unica sensazione: un forte senso di colpa. È incredibile come migliaia di vite si spengano nel viaggio che dovrebbe rappresentare la loro salvezza, e noi siamo meramente degli spettatori passivi di questo film dell’horror. E perché ancora la maggioranza pensa che le migrazioni siano un problema? Perché si preferisce l’ignoranza rispetto alla nuda verità?
La descrizione del dottor Bartolo circa alcune operazioni che spesso è tenuto a fare mi hanno quasi inorridita, sia per le condizioni dei migranti sui barconi sia perché nessuno fa sì che la situazione cambi, che raggiungano l’Italia senza ulteriori complicazioni per la loro salute. E la storia di Anila, sebbene abbia coinvolto diverse autorità italiane tra le più importanti quali il Presidente della Repubblica e il Papa, è profondamente commovente ma d’altra parte solo una piccola goccia nell’Oceano.
Quale criterio stabilisce il luogo di nascita? Chi si merita il “privilegio” di nascere in Europa? Le persone provenienti da luoghi dominati dalla guerra hanno meno diritto di noi di essere cittadini del mondo? Non dev’essere questione di colori e di religioni, come afferma anche l’Articolo 3 della nostra Costituzione. È solo questione di genuinità, quella purezza che solo i bambini possiedono nel giocare tutti insie
me a calcio indistintamente, e nel dare i propri giochi a chi ne possiede meno. Dovremmo tutti chiudere gli occhi ed andare in giro per il mondo scambiando i nostri pensieri con il prossimo. Dovremmo tutti tornare bambini e guardare il mondo da questa piccola, a emotivamente grande, prospettiva. Serena Citriniti
“Le stelle di Lampedusa” è un libro che mi ha aperto la mente. E non lo ha fatto bussando gentilmente alla porta, bensì buttandola giù a cannonate, tramite immagini crude e storie tragiche, sbattendomi in faccia la realtà. Una realtà in cui migliaia di “Anila” sono morte, e altrettante stanno ancora combattendo là fuori contro la fame, contro i propri aguzzini o contro la burocrazia. Lorenzo Barelli
Ho apprezzato particolarmente la lettura del libro, più di quanto mi sarei mai aspettato, soprattutto grazie allo stile adottato dall’autore. Bartolo è perfettamente consapevole di non essere uno scrittore, e infatti non prova neanche ad esserlo. Quello che però riesce a fare efficacemente è raccontare una delle migliaia di storie sui migranti arricchendola con le esperienze e le emozioni di un uomo che vive quotidianamente situazioni di questo genere. Questo punto di vista, a me prima sconosciuto, con cui ha scritto il libro mi ha portato a riflettere su quello che c’è dietro ai numeri che si leggono in TV o sui giornali, che quelle persone prima di essere migranti sono uomini e ognuno di loro ha una vita che ha il diritto di essere vissuta. Ormai siamo abituati a sentire parlare di questo argomento solo perché i politici lo sfruttano per ottenere popolarità, Bartolo ci ricorda che si sta parlando di esseri umani come noi. Leonardo Cenci