Andare a casa della nonna era come entrare in mondo bucolico lontano dalla mia quotidianità di paese. Un mondo senza regole in cui poter entrare e uscire di casa senza doversi mettere le ciabatte, andando a raccogliersi la merenda nell’orto e mangiarla senza lavarla. Soprattutto un mondo in cui poter giocare con gli animali come fossero bambolotti.
Io avevo scelto il gatto come mio animale adottivo: un animale schivo e selvatico come me. Mia sorella aveva scelto un coniglietto. Un piccolo esserino appena nato, più simile ad un topolino che ad un paffuto coniglio peloso. Lo sottraeva alla madre legittima, lo vestiva con abiti da bebè e lo metteva dentro ad una piccola carrozzina rosa. Iniziavano così lunghi pomeriggi di accudimento, divertenti per lei, sicuramente meno per il povero animale. L’egoismo infantile non le permetteva di interpretare i gemiti del povero animale come richieste di aiuto. L’animale cresceva cullato e accudito, aspettando con ansia il momento in cui la madre adottiva tornava finalmente in città.
Bianchi Gloria