Verum, bonum, pulchrum nelle opere di Durer incisore

Il verum

Il cavaliere, la morte e il diavolo, incisione a bulino su lastra di rame, 1513
(una stampa è conservata alla Collezione Magnani Rocca a Mamiano)

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Forse in viaggio verso la città lontana (dalla Gerusalemme terrena, forma del vivere civile, alla salvezza della Gerusalemme celeste, evocata dalla ‘S’ – Salus, Salvezza – sul cartiglio in basso a sinistra della data, 1513) il cavaliere si trova in un paesaggio lugubre, fatto di rocce e alberi secchi, probabile richiamo ai momenti difficili dell’esistenza. Ciononostante, seppur lentamente, avanza, tutt’uno con il suo cavallo, al passo, e al suo cane, amico per sempre. Sul percorso il cavaliere è seguito da due orrende figure: la morte, di fianco, e il diavolo, dietro. La morte mostra la clessidra, simbolo della verità – come insegnava Eraclito – più evidente e più dimenticata: tutto scorre, tutto cambia. Il diavolo, privo di forma comprensibile in quanto polimorfo (presenza si, ma non-persona), ricorda che il male è sempre lì, si tiene dietro e nascosto; segue la nostra esistenza nel tentativo di renderla diabolica (il termine diavolo – dal greco, ‘mettersi in mezzo’, dunque ‘frapposto’ – nasce come aggettivo), vale a dire incapace di riconoscere il male nelle sue polimorfe trasformazioni. Con la sua incisione, Dürer ci mostra il verum, la via della ragione che sa riconoscere le due verità fondamentali ancorché scomode e fin troppo spesso esorcizzate in ogni cultura: il cambiamento (il virgiliano fugit irreparabile tempus, Georgiche, lib. III, v. 284) e la presenza delle svariate forme del male nella vita. Sulla via del verum, sempre più consapevole che la morte e il diavolo sono ‘compagni di viaggio’, ogni uomo può sentire d’essere il cavaliere che, lancia in resta, incede nella vita con onore e coraggio, onestà e fermezza (LL).
Per un’analisi approfondita dell’incisione si veda il saggio di Claudio Bonvecchio, IL CAVALIERE, LA MORTE E IL DIAVOLO: UNA ANALISI SIMBOLICA, rivista internazionale di filosofia online, WWW.METABASIS.IT maggio 2009 anno IV n° 7.

Il bonum, la via morale

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Il figlio prodigo, 1496 circa, Incisione, 261 x 202 mm, Staatliche Kunsthalle, Karlsruhe

Gli artisti interpretano il modello iconografico del figlio prodigo con particolare attenzione alla parte finale della parabola riportata nel Vangelo di Luca (15,11-32), quando il padre vede arrivare il figlio o quando lo riabbraccia. A prima vista appare a dir poco inconsueto che solo Dürer scelga di collocare la scena in un altro momento che, tuttavia, si rivelerà decisivo. Il giovane ha dilapidato tutti i beni paterni e in breve tempo è costretto a fare il guardiano di porci, nell’abiezione più totale. Tutto il villaggio è povero e desolato; alcune case, con i muri in rovina, sembrano perfino abbandonate. Non si vede anima viva. Intorno ci sono solo porci e, un po’ lontano, curiosamente, il posteriore di una vacca. Consapevole di aver toccato il fondo, il giovane s’inginocchia, volge lo sguardo in alto, metafora dell’Altissimo, stringe le mani in preghiera e compie l’atto più onesto e coraggioso: perdonarsi. Proprio così, perdonarsi. Il figlio prodigo deve prima chiedere perdono a se stesso e ritrovare così la dignità perduta. In virtù di questo gesto, può ora sperare di ricevere il perdono di suo padre. Queste brevi riflessioni sono il frutto di appassionate lezioni di Religione cattolica (dal 2009 al 2015 con l’ITE “G. Bodoni”) presso l’Istituto Penitenziario di Parma. Grazie alla splendida immagine del Dürer ciascuno ha di fronte la vera via morale, il bonum fin troppo dimenticato: riconoscere i propri errori, perdonarsi per chiedere perdono (LL).

Il pulchrum, la via della bellezza

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Adamo ed Eva, 1504, bulino, 250 x 190 mm, Collezione Remondini, Inv. LI.1346.5342, Bassano (Vicenza), Museo Civico

L’importanza che Dürer diede a questa incisione è rivelata dalla presenza della firma, incisa per esteso come nei dipinti: ALBERT(US) Dürer NORICUS FACIEBAT 1504 si legge sul cartellino monogrammato che pende dal ramo del sorbo. Per la prima volta Dürer usa un’iscrizione in latino, considerata come una sorta di tributo-sfida nei confronti di Antonio Pollaiolo, fondamentale punto di riferimento per l’artista di Norimberga. Con l’incisione di Adamo ed Eva, nota anche come Peccato Originale, Dürer raggiunge uno dei risultati più alti della sua insistita ricerca sulle proporzioni del corpo umano, raffigurando due modelli di bellezza classica, esemplari nell’equilibrio della posa e nella perfezione delle proporzioni. I due nudi, allineati sullo stesso piano, risaltano sullo sfondo scuro di un bosco fitto di piante e popolato di animali. Dürer sembra voler contrapporre il sublime al contingente, sebbene gli animali raffigurati abbiano tutti valore simbolico. Nell’incisione Adamo ed Eva non appaiono come i peccatori della pittura fiamminga, ma come esseri consapevoli della loro dignità umana. Evidente il riferimento a modelli della statuaria classica. La figura di Adamo rimanda all’Apollo del Belvedere, riportato alla luce durante uno scavo a Roma alla fine del Quattrocento, e noto al Dürer attraverso riproduzioni. Per la figura di Eva si potrebbe ipotizzare la conoscenza di un antico modello di Venere del tipo di quella medicea, anche se i richiami a un esemplare classico diretto siano meno evidenti che per l’Adamo. Particolarmente densi di significati allegorici sono le piante e gli animali raffigurati nell’incisione, i cui rimandi dovevano apparire evidenti ai contemporanei dell’artista. Adamo stringe con la mano destra un ramo di sorbo, l’albero della vita, contrapposto al melo su cui si attorciglia il serpente, simbolo del peccato. Il pappagallo allude a Maria, la seconda Eva, rimasta incontaminata dal peccato originale. La capra, in cima alla roccia sullo sfondo, rappresenta l’occhio di Dio che tutto vede dall’alto. Nell’antagonismo fra il gatto e il topo in primo piano si è infine voluto vedere un eco dello stato di tensione fra uomo e donna, qui rappresentato dalla coppia primigenia. La scelta degli altri animali, secondo l’interpretazione iconografica suggerita da Panowsky, il bue, l’alce, il coniglio e il gatto rappresenterebbe i quattro “umori” o “temperamenti” umani: il bue, il flemmatico; l’alce, il melanconico; il coniglio, il sanguigno; il gatto (o lince), il collerico. Secondo la dottrina scolastica, ben nota a Dürer, in conseguenza del peccato d’orgoglio, l’equilibrio dell’animo umano, in origine retto dall’armonia dei quattro temperamenti, si ruppe, provocando le complessioni caratteristiche dei singoli temperamenti umani, nei limiti e nei pregi.

Prof. Luigi Lanzi

 

 

 

 

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