Click!
Sono una moda: non sono un vestito, nemmeno un paio di Nike. I nonni mi chiamano autoscatto mentre i giovani usano un termine più alla mano, più cool.
Selfie.
Già dal mio nome si pensa a qualcosa di un po’ egocentrico, un qualcosa con se stessi al centro. Secondo il giornale “La Stampa” sono stato consacrato dall’Oxford Dictionary come parola dell’anno e ho rubato il posto alla parola autoscatto, ormai vecchia e non più in voga.
Posso immaginarmi le scene in cui sono nominato, tipo: “Ehi ci facciamo un selfie davanti al Colosseo?” Oppure: “Aspetta! Vieni a farti un selfie mentre teniamo su la Torre di Pisa!” E in altre occasioni ancora con persone che non conosci ma che ti “ispirano”: “Selfie?”.
Ma non solo: ho avuto l’onore di vedere, attraverso il mio occhio di vetro, il presidente Obama e il premier britannico Cameron insieme alla cerimonia funebre di Nelson Mandela! Grazie a loro ho fatto il giro del mondo, sono finito pure in prima pagina!
Ma la mia popolarità non finisce qui: sono una moda che passa dai politici ai vip passando per Papa Francesco e per le persone meno conosciute. Inoltre l’esperto di tecnologia della BBC Rory Cellan-Jones parla di me dicendo che sono motivo di popolarità perché tutti possiedono un telefono che scatta foto e tutti hanno voglia di mostrarle al mondo.
Tutta questa moda però non è sempre sinonimo di bene e di giusto… Molte persone infatti non moderano i loro selfie né la loro voglia di farli, facendomi diventare quasi una droga. L’American Psychiatric Association ha studiato cosa non va nella testa dell’ “auto-ritrattista” professionista: a quanto pare sono diventato un disturbo mentale. Questa nuova malattia porta il nome di selfitis ovvero selfite; mi sembra quasi il nome di un alieno.
Ma qual è la patologia della selfite?
Bene, i membri dell’APA rispondono così: i contagiati hanno un desiderio ossessivo e compulsivo di realizzare fotografie di se stessi. Ma i miei amici “selfisti” sono così tanto egocentrici e narcisisti?
No! Spesso infatti porto foto di persone “vuote” nell’autostima e nella propria intimità.
Selfitis borderline, selfite acuta, selfite cronica sono le diverse classificazioni di questa patologia che vanno dalla meno grave (Selfitis borderline) alla più pericolosa (selfite cronica).
Attenzione però, non faccio solo del male: la donna canadese Stacey Yepes infatti portando ai medici vari selfie e vari video scattati durante un attacco non ancora “identificato” è riuscita a farsi fare una diagnosi corretta che non poteva essere creata mediante la descrizione a voce dei sintomi salvando così la propria vita. Inoltre hanno creato una scuola in cui “io sono insegnato” agli studenti dell’università di Teramo che, attraverso i loro selfie, si risaltano le peculiarità del territorio teramano con una logica di marketing territoriale.
E allora ragioniamo insieme: non mi reputo un danno e nemmeno una problematica per la società. Sono un mezzo, uno strumento, voi siete chi usa questo mezzo, questo strumento e dovete imparare a moderare e ottimizzare il mio utilizzo.
In conclusione ricordate: “selfatevi” il giusto!
Giovanni Maghenzani