“Il cammino delle Donne”. Sulle orme dell’emancipazione femminile nella nostra città

2 giugno 2016. La nostra Repubblica ha compiuto 70 anni, e non solo lei: settant’anni fa in Italia per la prima volta tutte le cittadine italiane furono chiamate a votare e a far valere la propria opinione in occasione del referendum istituzionale tra monarchia e repubblica e dell’elezione dell’Assemblea costituente (già localmente avevano votato, per la prima volta dalla nascita dello Stato italiano, alle elezioni amministrative della primavera di quell’anno, il 1946).  Per ricordare questo importante traguardo martedì 31 maggio la professoressa Cotti e il professor Zucchellini hanno accompagnato noi studenti della V M sulle tracce del percorso di emancipazione condotto dalle donne nel corso del XX secolo, attraverso una visita guidata del centro storico della nostra città, organizzata dal Centro Studi Movimenti con il patrocinio del Comune di Parma, con l’aiuto di Michela, ricercatrice del Centro Studi Movimenti.

Tappa I: sede dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia.

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Durante la prima guerra mondiale le donne dovettero supplire nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro all’assenza dei mariti, impegnati al fronte, uscendo per la prima volta dal loro tradizionale ruolo di custodi del focolare domestico, conoscendo l’indipendenza economica e acquisendo una nuova consapevolezza di loro stesse. Tuttavia con l’instaurazione del regime fascista, di impronta marcatamente maschilista, si volle che le donne riprendessero le loro consuete mansioni e tornassero a ricoprire il ruolo a loro tradizionalmente riservato. In questo contesto si colloca l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, fortemente voluta dal governo fascista nel 1925 nell’ambito della nuova politica di espansione demografica, con l’obiettivo di assistere le giovani madri in difficoltà e i loro figli. Il fine di quest’opera era principalmente quello di diffondere il modello di donna come madre e educatrice dei fanciulli: il ruolo della donna era relegato a quello di “fattrice di figli” e “genitrice della razza”. La famiglia ideale fascista doveva essere assai numerosa, in modo da fornire forza lavoro e, soprattutto, uomini valorosi per l’esercito; pertanto ogni anno a Roma venivano premiate, per ogni città, le madri più prolifiche: in questa occasione le vincitrici venivano chiamate sul palco della premiazione non con il loro nome ma con il numero dei figli e il nome della città da cui provenivano, grave indice – questo – del processo di spersonalizzazione della donna, considerata alla stregua di una “macchina da riproduzione”.

La nostra guida, Michela, ci mostra il volantino della prima Festa della mamma e del bambino, istituita il 24 dicembre del 1933; data simbolica,  perché anniversario della nascita per eccellenza, quella di Cristo: Maria genera il proprio Figlio nella consapevolezza del sacrificio che lo aspetta, così come, sotto il regime, tutte le madri generano nella consapevolezza che sacrificheranno i propri figli.

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L’ex sede della sezione parmense dell’ONMI a Parma si trova in via della Costituente, di fianco al Liceo Marconi. Oggi questa struttura ospita un asilo nido: per la legge del contrappasso l’edificio simbolo della concezione fascista della donna è diventato uno strumento di emancipazione femminile (grazie alla diffusione degli asili è infatti possibile oggi per la donna dedicarsi al lavoro extra-domestico); tuttavia, è anche vero che le mansioni di educatrice e “allevatrice” sono tuttora considerate come compiti – forse, gli unici compiti – specificamente femminili.

 

Tappa II: lapide sotto i portici del grano.

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Dalla sede dell’ONMI in Oltretorrente ci siamo spostati in Piazza Garibaldi sotto i portici del grano. Qui Michela ci ha mostrato una stele posta nel 1970 in memoria delle donne che hanno preso parte alla Resistenza, dando un ”contributo eroico silenzioso insostituibile” alla lotta per la libertà. Durante la Resistenza il ruolo delle donne era spesso quello di assistere i partigiani, distribuire volantini, fare le staffette: questo potrebbe spiegare perché  nella lapide si parla solo di “contributo”, in ossequio peraltro al cliché della donna come colei che affianca e supporta in modo “silenzioso” e “insostituibile” l’uomo. Tuttavia, vi furono anche alcune donne che si unirono ai combattenti partecipando in prima persona alle operazioni belliche: ad esempio, Rosetta Solari, partigiana originaria di Borgo Taro, che si distinse per essersi aggregata alle bande dei partigiani e aver partecipato attivamente alla lotta armata; scelta – questa – assai trasgressiva per i tempi.

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Dopo la Liberazione e la fine della Seconda Guerra Mondiale, la partecipazione attiva, diretta o indiretta, di alcune donne alla guerra viene considerata come una parentesi eccezionale: si sente ora un forte bisogno di ritornare alla normalità, motivo per cui anche molte donne vogliono tornare per così dire a “indossare la gonna” e a rivestire il ruolo tradizionalmente loro assegnato.

 

Tappa III: sede dell’UDI.

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           Dopo Piazza Garibaldi, ci siamo recati alla sede dell’UDI in via Petrarca 15. La sede della sezione femminile di Parma della Gioventù Italiana del Littorio, dedita in epoca fascista all’organizzazione del tempo libero delle giovani donne, viene trasformata dopo la guerra nella sede locale  dell’UDI, l’Unione delle Donne in Italia. L’UDI è un’associazione nata nel 1945, ma che affonda le sue radici nei Gruppi di Difesa della Donna attivi durante la resistenza. Inizialmente l’associazione si batté infatti per l’emancipazione politica delle donne; poi negli anni del dopoguerra questo obiettivo, anche in seguito a un dibattito interno tra le socie, venne in parte accantonato, prediligendo l’organizzazione di attività ricreative, colonie estive per i bambini e opere di assistenza. Per rispondere alle accuse mosse dai cattolici di minare l’istituto della famiglia e nel tentativo di tamponare la perdita di iscrizioni, l’UDI rispolverò anche lo stereotipo della donna madre, come si può vedere in un volantino stampato in occasione della festa dell’8 marzo che ci ha mostrato Michela. La festa della Donna era particolarmente sentita in città nel primo dopoguerra: erano previsti festeggiamenti pubblici al Teatro Regio e si diffuse anche da noi l’uso della mimosa – a causa della precoce fioritura di questo fiore – come simbolo della festa.

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Nel frattempo nel marzo de1946, grazie anche all’attivismo che caratterizza inizialmente l’UDI, le donne vengono finalmente ammesse al voto prima in vari consigli comunali e poi nell’Assemblea Costituente, per eleggere la quale gli elettori e le elettrici sono chiamate alle urne il 2 giugno del 1946.

Tappa IV: sede del CIF

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            Terminata la nostra sosta davanti alla sede dell’UDI abbiamo raggiunto piazza Duomo, dove Michela ci ha indicato l’ingresso della sede di Parma del Centro Italiano Femminile (CIF) e ci ha spiegato le origini di questa associazione. Mentre si stava delineando la vicinanza politica dell’UDI al Partito Comunista, a causa della tensione in Italia tra comunisti e cattolici che caratterizzò l’inizio del periodo della guerra fredda alcune attiviste si staccarono dall’UDI confluendo nel CIF, organizzazione di matrice culturale cattolica. Anche questa associazione, tuttora esistente, è dedita all’assistenza delle donne, specialmente di quelle con difficoltà familiari ed economiche, ma non appare interessata a rivendicare maggiori diritti per esse sul piano legislativo. La finalità principale del CIF è stata quella di ribadire la centralità della famiglia come cellula della società e il ruolo della donna all’interno della famiglia; ciò non toglie che essa oggi sia impegnata ad aiutare molte donne, italiane e straniere, a trovare un lavoro e a inserirsi nella società.

Tappa V: casa di Anna Menoni

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            Ci siamo dunque recati in strada Sant’Anna, dove, all’angolo con borgo degli Studi, si trova quella che fu la residenza di Anna Menoni. Anna Menoni era una parmigiana che partecipò alla Resistenza e poi fu eletta nell’aprile del 1946 nel consiglio comunale di Parma. In quell’anno le donne italiane furono chiamate a partecipare al voto a suffragio universale per ben due volte: la novità del voto femminile fu accolta con entusiasmo dalle dirette interessate e oltre l’89% delle donne aventi diritto si recò alle urne, ma davvero poche – in rapporto al totale – furono le donne elette, a causa della diffidenza da parte degli uomini e delle donne stesse nei confronti della inedita possibilità di un ruolo attivo delle donne in politica. A Parma nel 1946 su 40 consiglieri comunali eletti vi furono solamente due donne: Anna Menoni, già segretaria cittadina dell’UDI, per il PCI, e Giuseppina Rivola, eletta nelle file della DC. A livello nazionale la presenza femminile in politica negli anni seguenti addirittura diminuì, e comunque alle donne furono riservati ruoli ritenuti più consoni alla loro condizione, come quelli legati all’assistenza e all’istruzione, anche a causa di un certo riflusso conservatore che caratterizzò in quel periodo la società italiana; un’inversione di rotta ci sarà  negli anni Settanta, in seguito alla diffusione dei movimenti femministi attivi a partire dal 1968.

Tappa VI: la Biblioteca delle Donne

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             L’ultima tappa che abbiamo fatto nel nostro cammino è stata la sede dell’archivio delle associazioni e collettivi femministi di Parma. Negli anni Settanta si sviluppano in varie città d’Italia i movimenti femministi: a costituirli sono le figlie delle donne che hanno votato per la prima volta nel 1946, giovani donne che hanno conosciuto il boom economico e la mobilitazione di protesta giovanile del ’68. Nei collettivi queste donne, desiderose di conquistare la propria indipendenza, si radunano all’infuori dell’ambiente domestico e si confrontano pubblicamente, portando le proprie esigenze, sorte nell’ambito della vita personale e privata, alla ribalta dell’agone pubblico e poi anche sulla scena politica. È l’inizio di una rivoluzione femminile. La presenza delle donne in politica conosce una forte crescita, dopo la battuta d’arresto degli anni precedenti, e le donne ottengono importanti risultati anche sul piano legislativo, tra cui: la legge sul divorzio (1970); la riforma del diritto di famiglia con l’affermazione della parità tra i coniugi (1975); l’istituzione dei consultori familiari, finalizzati in particolare alla tutela della salute della donna (1975); la legalizzazione e regolamentazione dell’aborto (1978); l’abrogazione di leggi infami e discriminatorie come la legge sul diritto d’onore e quella del matrimonio riparatore (1981). Infine, molti anni dopo la presentazione nel 1980 di una proposta di legge di iniziativa popolare, volta a modificare la legge sulla violenza “carnale” che considerava la violenza sulle donne come un reato contro la pubblica moralità, finalmente nel 1996 fu approvata una legge che considera la violenza sessuale come un delitto contro la persona, punibile con pene molto più severe rispetto a prima.

Una riflessione

Il percorso che abbiamo fatto tra i diversi tipi di figura femminile che si sono susseguiti nel secolo scorso, da coloro che dovevano essere “fattrici di figli” alle partigiane assistenti o combattenti, dalle donne elettrici – molte –  ed elette – poche –  del 1946 alle femministe degli anni Settanta, mi ha dato modo di riflettere sul problema dell’emancipazione femminile e sul ruolo della donna nella società. Se è vero che le donne godono sulla carta degli stessi diritti degli uomini, il problema delle pari opportunità ancora non è completamente risolto perché esse, pur essendo la maggioranza della popolazione e dando prova di valere almeno tanto quanto gli uomini, occupano tutt’oggi una parte minoritaria dei posti chiave della società. Per questo ritengo che noi giovani donne abbiamo una missione fondamentale nella società di oggi: quella di portare avanti quel cammino di riscatto, di rinnovamento e di libertà che è cominciato il 2 giugno di settanta anni fa ma che ancora non si è concluso e ha bisogno del nostro intervento e della nostra forza di volontà per essere portato avanti. Questo siamo chiamate a fare per noi e per i nostri futuri figli e figlie, e anche per onorare la memoria delle nostre antenate che hanno lottato, in modo più o meno “eroico”,  più o meno“silenzioso”, sicuramente “insostituibile”, per la nostra libertà.

Marta Simili

 

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