“Nessuno mette i suoi figli su una barca a meno che l’acqua non sia più sicura della terra”

Incontrare i profughi, vedere il loro volto segnato dalle sofferenze, parlare con loro: il progetto Rete scuole per la pace, grazie all’Associazione onlus Ciak, ci ha insegnato, attraverso storie di immigrati, a riflettere.

Le idee cambiano, cambiano tante cose, perché capisci quello che ogni giorno provano centinaia di persone, costrette ad affrontare viaggi terrificanti in condizioni inaccettabili.

La speranza, spesso vana, anima donne, uomini e bambini, la speranza di essere accolti in un paimages (1)ese pieno di opportunità. Poi la paura, il dolore, la malinconia, la delusione: la rappresentazione teatrale Solo andata  con la rete che intrappola i migranti ben rappresenta la non libertà, la nuova condizione di ‘senza patria’ di chi fugge dal proprio paese dove la vita non può continuare. Ma neppure riesce a continuare in mare, nei container, nei lunghi viaggi senza meta: respinti, evitati, emarginati.

E l’accoglienza, l’integrazione, la solidarietà dove sono?  Cosa posso fare io ? Ascoltarli, capirli ed aiutarli. Il calore umano manca. La fredda indifferenza non ci deve travolgere.

La speranzimagesa di Rage, testimone somalo, è rinata, in Italia: dopo tante difficoltà, ha trovato un lavoro, riesce a mantenersi e vive con altre persone come lui. Ma la sua famiglia è lontana. Forse non la rivedrà più. Gli occhi si abbassano, mentre pronuncia la frase che si scolpisce nei nostri cuori: “nessuno mette i suoi figli su una barca a meno che l’acqua non sia più sicura della terra”.

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