Un ragazzino entra nella sua classe, sembra tutto normale: solito banco, solita lezione, soliti compagni. C’è solo un piccolo dettaglio che cambia totalmente la visione di quella, apparentemente, abitudinaria giornata: da un momento all’altro entrerà un uomo che si metterà ad urlare e a sparare a raffica su chiunque gli capiterà davanti.
Nelle scuole americane problemi come questi sono sempre più frequenti: secondo uno studio seguito dal K-12 School Shooting Database, nel 2022 sono stati contati oltre 300 incidenti con armi da fuoco, il numero più alto mai registrato. Un dato del genere potrebbe spaventare all’apparenza, ma è più che prevedibile che incidenti di questa natura continuino a verificarsi: infatti negli Stati Uniti ci sono più armi da fuoco che persone, 331 milioni di abitanti al confronto di 357 milioni di armi.
Il commercio così libero di armeria negli Stati Uniti ha sempre aperto molti dibattiti: c’è chi lo ritiene un mercato troppo aperto, chi non se ne cura minimamente e chi non ci trova nulla di male. Anche Stephen King è entrato più volte nel dibattito: il celebre scrittore ha espresso varie volte le sue opinioni riguardo alle armi da fuoco, soprattutto nel contesto della cultura americana. In più occasioni, ha messo in luce il fatto che gli Stati Uniti hanno una relazione complessa e malsana con le armi, che vengono viste non solo come strumenti di difesa, ma come parte integrante dell’identità culturale.
Nel 2013, a seguito della sparatoria nella scuola elementare Sandy Hook che causò la morte di 20 bambini, King pubblica un saggio intitolato Guns, in cui affronta direttamente il problema delle armi negli Stati Uniti. All’interno del libro vi sono proposte alcune misure per ridurre la violenza che le accompagna, tra cui il controllo più rigoroso dei precedenti per chi le acquista e il divieto di vendita di armi d’assalto. Inoltre, critica duramente la resistenza della National Rifle Association, l’associazione per il libero consenso delle armi da fuoco, a qualsiasi forma di regolamento e chiede una maggiore responsabilità collettiva.
Ma questo non è il primo intervento dello scrittore nel dibattito perché già nel 1965, sotto lo pseudonimo di Richard Bachman, aveva pubblicato Rage (anche conosciuto come Getting it on), un romanzo che racconta la storia di un adolescente problematico che prende in ostaggio i suoi compagni di classe dopo aver ucciso un insegnante. Durante la giornata, mentre tiene la classe prigioniera, Charlie coinvolge gli altri studenti in una serie di confessioni e riflessioni psicologiche, rivelando gradualmente le sue motivazioni e la sua angoscia interiore. Il romanzo venne poi ritirato dal mercato perché ritenuto un possibile “accelerante” a questo tipo di azioni, ma ancora oggi racconta un problema più che mai reale che gli Usa si trovano obbligati ad affrontare.
Ma perché è così difficile limitare la diffusione delle armi negli States?
Stephen King analizza la questione ancora più a fondo e rilascia questa dichiarazione: “Dare la responsabilità delle sparatorie alla cultura della violenza” spiega lo scrittore “è come dire che gli amministratori delegati di una compagnia di sigarette affermano che l’inquinamento ambientale è la prima causa di cancro ai polmoni”. Secondo King la causa di queste innumerevoli sparatorie non si può ridurre al semplice fatto che viviamo costantemente con la “cultura della violenza”, ma che sostanzialmente cerchiamo di scaricare tutte le colpe su qualcosa che secondo noi non può essere veramente risolto. In questo modo non veniamo a capo dei problemi ma li evitiamo soltanto.
Tutti conoscono la situazione ma nessuno cerca una soluzione reale, e intanto il numero di vittime sale. Quante vite sarebbero state salvate se anche solo il limite massimo di proiettili in un’arma fosse stato 10 invece che 30, o se ci fosse stato qualche controllo prima della vendita di un’arma d’assalto?
Giulia Di Mario 3F
Foto del sito Stephen King Revisited