L’istruttoria, Teatro Due. Le riflessioni della 5C

 

“Sabato 27 gennaio 2024, Giorno della Memoria, in moltissimi si sono presentati al Teatro Due di Parma per assistere all’Istruttoria, opera teatrale scritta dal drammaturgo tedesco Peter Weiss nel 1965 e messa in scena dal regista Gigi Dall’Aglio dal 1984 per commemorare le vittime dell’Olocausto, per non dimenticare i crimini dei nazisti nei campi di sterminio e soprattutto per tenere presente e vivo nelle nostre menti il ricordo della Shoah. Un procuratore, diversi imputati e testimoni anonimi sono i personaggi di quest’opera in otto canti che, come un inferno dantesco, trascende la rappresentazione del processo penale di Francoforte contro un gruppo di SS e di funzionari del Lager di Auschwitz e acquista la liricità, il patetismo e il sentimentalismo di una tragedia antica, descrivendo gli aspetti della reclusione e del percorso di morte all’interno del campo di sterminio di Auschwitz.”(Pietro Spinelli, 5C)

 

“Lo spettacolo è un’immersione nella tragedia; la sensazione di essere parte dell’orrore narrato, di essere uno degli häftlinge: queste sono le emozioni che questo spettacolo riesce a suscitare, grazie alla scelta di fare entrare il pubblico direttamente in scena, letteralmente rendendolo parte di essa. L’opera è strutturata in maniera tale da dare un ruolo al pubblico, appunto: il suo ingresso in sala è allegoria della discesa dai convogli dei deportati sulla banchina, il pubblico e gli attori si ritrovano a condividere lo spazio scenico delimitato da una parete nera da un lato, e dall’altro un cordone che impedisce l’accesso alla platea, immersa nell’oscurità, come in una prigione. A rendere il tutto più amaro è la musica di sottofondo, suonata al pianoforte dal vivo: il pianista (Alessandro Dini, n.d.r.) riproduce le urla lamentevoli e strazianti delle anime dei dannati, che trasmettono allo spettatore tutta la sofferenza da solo vissuta. Sullo sfondo unicamente un lungo muro di legno coperto di sacchi catramati, intarsiato di cinque piccole porte da cui appaiono e scompaiono i personaggi. È su quel muro nero che gli attori scrivono il titolo dei vari “canti” in cui si articola questo moderno racconto dell’inferno hitleriano, proprio come nell’inferno dantesco.” (Martina Grisenti,5C)

 

Lo spettacolo, in scena in questa versione dal 1984 dopo tanti anni di repliche, prende ancora per mano lo spettatore, scaraventandolo con forza in una delle realtà più crudeli e drammatiche del XX secolo: diventa egli stesso attore fra gli attori che fanno rivivere un inspiegabile dramma, diventa parte della narrazione, si trova a processo: è catapultato nel bel mezzo dei fatti, dei ricordi, delle testimonianze. Egli è giudice, è vittima, è carnefice. È in un campo di concentramento di cui scopre le tragiche dinamiche: l’arrivo ai binari dei deportati, che sono stati strappati per sempre alle loro vite, i personaggi che animano il campo di concentramento, le illogiche dinamiche e le crudeltà che lo abitano. Le scene si susseguono una dopo l’altra in una narrazione incalzante: i deportati nudi, le torture, gli esperimenti medici, il fumo delle camere a gas, le fucilazioni, le iniezioni letali, le vite spezzate simboleggiate da piramidi di oggetti quotidiani come i rasoi -utensili apparentemente innocui- ma sottratti ai prigionieri del lager per privarli della propria identità. Le urla in scena sono il nostro stesso orrore. Lo spettatore è irrimediabilmente in trappola: gli eventi della Shoah li sta rivivendo sulla propria pelle, lui stesso è dentro questo spettacolo che riporta a galla la sofferenza, l’irrazionalità della storia. Fa piacere vedere tanti giovani a questo spettacolo. Dopo quarant’anni molte cose sono cambiate, purtroppo la storia insegna, ma l’uomo è duro a cambiare e certi orrori si ripetono. Questo spettacolo rimane un monito, un raro “oggetto” della memoria, un prezioso invito a non dimenticare non soltanto nella Giornata della Memoria che è ieri, oggi, domani, sempre. (Emiliano Dall’Asta, 5C)

 

“Ciò che ho visto mi è sembrato così atroce e così disumano che pareva difficile credere che l’uomo possa essere stato autore di così tanto male, eppure questa è la verità, questa è la storia che abbiamo alle spalle” (Gabriella Francavilla, 5C)

 

“Nonostante fossi a conoscenza del fatto che lo spettacolo sarebbe cominciato nel momento in cui saremmo entrati tutti nella sala senza neanche sederci, sono rimasto colpito. Quando abbiamo attraversato la porta e siamo arrivati alla “banchina”, la sensazione che mi dava la parete nera era proprio quella di un vagone di un treno, inoltre la presenza di fin troppe persone per uno spazio ristretto nel quale eravamo e gli attori che ci ordinavano con tono duro e aspro di scendere dal gradino per non occupare spazio, ricreavano, ovviamente in modo infinitamente minore, il clima che ci doveva essere circa ottanta anni fa. L’Istruttoria mi ha fatto capire quante persone negli anni successivi alla liberazione abbiano utilizzato come scusa il fatto che le loro azioni fossero mere esecuzioni di ordini e che non avevano altra scelta, cercando così di non rispondere di quei terribili crimini.” (Tommaso Fulgoni 5C)

 

“Gridai: «Pietà, per favore». Ho implorato silenziosamente pietà anch’io a metà spettacolo, quando la testimone ha raccontato delle atrocità subite nel lager. Nella parte iniziale mi sono ritrovata a stretto contatto con una delle attrici che stava recitando. Quando le è arrivato uno schiaffo io ero di fianco a lei, si è girata verso di me e, dolorante, sembrava chiedermi aiuto. Il fatto che lo spettatore sia catapultato nel mezzo della scena rende l’intero spettacolo una continua scoperta di dettagli che possono aiutare ad orientarsi nella complessa trama di storie, fatti e emozioni. È una scelta destabilizzante ma a mio avviso efficace.  Se penso che alcuni di loro mettono in scena questo spettacolo da quarant’anni credo che davvero la loro non sia solo semplice passione artistica, ma anche una missione morale che ormai fa parte della loro persona. (Maria Fregoso, 5C)

 

Sono stato profondamente colpito in positivo dallo spettacolo teatrale e devo ammettere che ha anche contribuito a farmi cambiare idea sul teatro. Ho, infatti, sempre creduto (forse più sulla base di stereotipi) che gli spettacoli teatrali fossero noiosi già di per sé. Questo senso di noia non l’ho percepito, invece, durante “L’Istruttoria”, anzi credo che il tempo sia volato via così velocemente che, quando è stata annunciata la fine della messa in scena, sono rimasto perplesso e un attimo spaesato, sia per la relativa brevità dello spettacolo, sia per le emozioni che mi aveva suscitato. (Alessandro Stocchi, 5C)

 

È stata un’esperienza suggestiva, a tratti angosciante ma soprattutto enormemente coinvolgente, nel vero senso della parola. Nel complesso “L’Istruttoria” è uno spettacolo che ti lascia un vuoto dentro, un’angoscia e dolore che, però, allo stesso tempo ti riempiono di consapevolezza, ti portano a riflettere, a calarti nei panni di coloro che veramente soffrirono tali trattamenti e a sperare che mai più, nella storia, accada qualcosa del genere. (Alessia Piscitelli 5C)

 

Il mio rapporto con il Teatro Due di Parma è una lunga storia d’amore iniziata tanti anni fa, per cui spesso temo che il mio giudizio su uno dei loro spettacoli più celebri, l’Istruttoria, sia poco obiettivo. Le parole dei miei studenti, però, sono una conferma del fatto che la nostra cittadinanza – e non solo- ha un enorme debito di riconoscenza verso la compagnia stabile che da ben 40 anni mette in scena il capolavoro di regia di Gigi Dall’Aglio, un rito laico ormai per molti irrinunciabile.

Prof.ssa Beatrice Ghiretti

 

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