Vive quasi statim moriturus (storie del prof Lanzi-II)

Al numero civico successivo rispetto a quello del palazzo in cui abito, viveva un certo Luigi
Lanzi, mio omonimo. Non lo conobbi mai. Però, quando morì, mi dispiacque, in particolare
per la sofferenza della moglie, persona gentile, sempre pronta al saluto cordiale. Nei giorni
successivi la morte del mio omonimo mi prese un forte turbamento. Immaginavo di passare
davanti ad uno specchio e riconoscermi cadavere. Sembrava che il mio omonimo mi parlasse
dall’altro lato dello specchio: – Bello mio, qui non si tratta della morte in astratto, non della
morte che è sempre quella degli altri, ma della mia e, ora, della tua, caro Luigi Lanzi! Il
pensiero della morte, della mia morte, si fece pressante. Per scacciare quel pensiero, presi a
ripetere come un mantra l’amata formula di Epicuro, mandata a memoria fin dai tempi di
terza liceo: “Abituati a pensare che nulla è per noi la morte poiché quando essa non c’è, noi
viviamo ancora e quando essa viene noi non siamo più”. Ma nemmeno Epicuro fu di
consolazione. Decisi di rileggere le stupende pagine che Pierre Hadot, nel saggio Esercizi
Spirituali e filosofia antica (Einaudi, Torino 2005) titolò “Imparare a morire”. Dal Socrate
di Platone a Marc’Aurelio, dagli Stoici ad Agostino, dai mistici cristiani del medioevo fino
al pensiero degli esistenzialisti del Novecento, il senso della filosofia è l’esercizio del morire,
inteso come morire alla propria ‘egoità’. La filosofia non è la costruzione di un pensiero
astratto, ma è uno stile che invita a vivere in modo più consapevole nella realtà quotidiana.
Il senso del ‘memento mori’ cristiano (‘ricordati che devi morire”, ‘ricordati che sei polvere e
in polvere ritornerai’, formula recitata dal sacerdote il mercoledì delle Ceneri, quest’ultime
segnate a mo’ di croce sul capo di ogni singolo fedele) e dell’esercizio del morire in senso
filosofico è conchiuso da una luminosa massima latina scolpita sull’architrave del portale
d’ingresso di Palazzo Ricci Armani a Pontremoli: Aedifica quasi semper victurus, vive quasi
statim moriturus; Costruisci come se dovessi vivere per sempre, vivi come se dovessi morire
adesso. Inizierò – mi dissi – da piccole morti quotidiane…

Foto di Cavazzini Serena (2^E)

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