Mi sono svegliata da poco anche se non era il mio più grande desiderio. In questa stanza tutto quello che mi circonda è monotono e bianco, ciò che riesce a spezzare questa completa noia è la voce dell’infermiera che oggi con sé ha portato tutte le mie amiche più strette: Sunny, con lei vedo tutto quello che questa misera stanza non mi permette di osservare; Domi, quando passo del tempo con lei mi diverto come se non fosse reale; con Lexy e Pam mi riposo, riescono ad anestetizzare ogni mio dolore, ma nonostante siano in due, il vuoto che mi fanno provare riesce ad essere colmato solamente da Fev, la mia migliore amica.
Appena sveglia mi chiedono di cambiare stanza, Emma non sarà più con me. Non mi hanno dato il tempo di portare con me i miei poster, sono rimasti attaccati alle pareti celesti dell’altra stanza. Spero che Emma riesca a portarmeli al più presto, queste quattro mura sono troppo bianche e spoglie per i miei gusti.
Sento bussare e vedo entrare la mia infermiera preferita accompagnata, oltre che dalle solite amiche, dall’ultima arrivata: Xanax, per gli amici Sunny.
Mentre ingoio una dietro l’altra le pasticche, Laura inizia col farmi un discorso particolarmente serio, probabilmente perché questo è un periodo in cui sono visibilmente malinconica: “Ti sembra tutto uno schifo o ti senti uno schifo tu? Sai, c’è differenza, è fondamentale per la tua guarigione”.
Ho riflettuto tutta la sera sulle parole che Laura, l’infermiera, mi ha detto: credo che sia un miscuglio delle due cose, non posso dire che essere rinchiusa in un ospedale psichiatrico sia la migliore delle esperienze, anche se ormai questo posto per me è casa e penso che ci resterò ancora a lungo secondo quello che dicono i medici. Poi ci sono io, io… io sto bene, questo è quello che dico a tutte le persone che mi chiedono come sto almeno.
Inizio un’altra giornata con me stessa in cui mi sento profondamente una bambina, una bambina che non trova il suo posto nel mondo, una bambina che non piace a nessuno… Oggi alle mie care amiche si è aggiunta Domi, soprannome carino per l’antidepressivo Dumirox.
Molto spesso mi chiedo “Perchè io?”, “Cosa ho fatto di male per meritarmi tutto quello che sto vivendo?” Sono solo una ragazza che prima che venisse colpita dalla malattia era solare e bella; non che ora io mi reputi brutta, ma il mio corpo porta con sé la mia storia e tutte le punizioni che autonomamente e ingiustamente mi sono data.
E’ mercoledì, sono tre giorni ormai che sono qui dentro, tra me ed Emma c’è sempre più confidenza. Era da tanto che non trovavo una persona che parlasse volentieri con me, o che semplicemente mi capisse, anche se in realtà molto probabilmente neanche io mi comprendo totalmente.
Mi sveglia Laura ricordandomi che tra circa venti minuti ho la visita con lo psichiatra; mi preparo ed entro nella stanza più colorata dell’ospedale, anche se a parer mio quella più triste.
La regola più importante è mai dire totalmente la verità, o almeno se non vuoi restare in struttura gran parte della tua vita.
Quindi il dottore mi chiede il motivo per cui tendo a farmi del male volontariamente. Le parole mi sembrano surreali, nessuno si era mai concesso di domandarmi questo, perciò rimango in silenzio; ciò che mi mette maggiormente in soggezione è pensare che quando inizi a compiere atti di autolesionismo non puoi smettere mai più di essere una “svitata”, perchè adesso tutto il tuo corpo è un campo di battaglia ricoperto da cicatrici e bruciature. A nessuno piace vedere tutto ciò, ancor di più nessuno riuscirebbe ad amare una persona così.
E’ lunedì, ieri mi hanno portata qui in ospedale, così mi hanno raccontato. Non ricordo particolarmente quello che è successo… Sono stata in isolamento fino a qualche ora fa e mi hanno costretta a prendere i soliti psicofarmaci: Fluoxetina, Seropram e Fevarin. Non mi piace chiamarli con i loro veri nomi, preferisco quelli dell’infermiera Laura; sembrano familiari, con qualità diverse tra simpatie e antipatie.
E’ domenica, sono a casa di mamma rinchiusa tra pensieri che mi divorano sempre di più, mi sto lentamente consumando fino a diventare cenere. Forse è solo quello che aspetto, arrivare a toccare il fondo per poi risalire… O forse il fondo è quello in cui mi trovo ora. Molto velocemente sento il battito rallentare fino a svanire, provo una sensazione di sollievo e tutto ciò che verrà dopo sarà insignificante.
Sono ancora reale?
Maria Vittoria Casoni, Elena Mereu 1T
foto da pinterest