Mamma mamma mi leggi questa favola?
Questa è la terza volta che glielo chiedo questa settimana ed è la terza volta che mi risponde “Alice hai nove anni, questo libricino dovresti riuscire a leggerlo anche da sola”.
Lo so mamma, ma quando apro un libro tutte le lettere si mescolano nella mia testa e tutto quello che riesco a leggere sono le parole C’era una volta, perché tanto sono sempre uguali.
Ogni volta è la stessa storia. Non importa cosa stia leggendo e quando. Se sono in classe con la maestra o a casa sul divano, se mi annoio o se mi piace il libro, se mi impegno o meno.
Le parole, quando passano dal libro alla mia testa, si sciolgono sempre in lettere confuse ed è come se non avessi mai letto in vita mia.
E non sono neanche tanto brava a scrivere. Ho circa lo stesso problema. I miei testi sono troppo corti e mi tornano sempre indietro con troppi segni rossi. A volte vorrei scrivere delle parole intelligenti come tutti i miei compagni, solo che le lettere non sanno dove mettersi. Non gliene faccio una colpa: sono disordinate come me.
Mamma mamma perché le maestre che dicevano il mio nome?
E dopo c’era una parola difficile. Distrellia. No, dissgressia. Ah no ecco, era dislessia. Erano un po’ preoccupate, secondo me le vogliono parlare. Forse non mi sono comportata bene…
Comunque io non chiedo niente, perché finché non so niente non possono sgridarmi.
A volte lo fanno, si mettono in un angolino del corridoio tra una lezione e l’altra a parlare sotto voce con un foglio davanti alle facce. Ma io lo so che parlano di me. Non capisco mai cosa faccio di sbagliato. Forse è solo che non sono intelligente quanto gli altri bambini, forse si sono stancate di leggere le mie storie con le lettere incrociate, forse c’è qualcosa che non va in me.
Mamma mamma mi leggi questa favola?
Sono passate due settimane dall’ultima volta che ho fatto questa domanda, ma penso mi dirà ancora di no. Invece ha detto sì! Ha detto sì! Non so cosa sia cambiato, ma non mi interessa. Finalmente saprò davvero cosa dice questo libro!
Dopo qualche pagina però si ferma. Mi chiede di leggere. Sapevo che non dovevo fidarmi. Mi ha promesso che, se ne leggo un paio io, poi tutto quello che manca lo legge lei. Allora ho detto che andava bene.
La pri-inci-pesssa per-de la schar-peta. Dopo s-caap-a denntrro la caaroz-za percccé è meza-no-otte.
Oh per fortuna in questa pagina c’erano tanti disegni e poche parole.
Mamma mamma adesso è il tuo turno, leggi?
Secondo me non si è accorta che ho finito, perché non sta ricominciando a leggere.
Quando mi giro per ripeterglielo vedo che ha la stessa faccia preoccupata che avevano le maestre nel dire la parola difficile. Chissà se è per lo stesso motivo. Ecco, non importa, adesso mi ha sorriso e sta dicendo che Cenerentola è riuscita ad arrivare a casa in tempo. Sono contenta per lei. Che strano, però. Finito il libro, oggi, ne vuole leggere subito un altro. Mi fa fare ancora la solita promessa: io un paio di pagine e lei il resto. Lo faccio solo perché non ho mai ben capito cosa succedesse a Cappuccetto tra la foresta e la casa della nonna ed è il momento della verità. La mamma mi fa leggere proprio l’inizio e questa volta ci metto un po’ più di tempo, ma alla fine mi è chiaro chi ha mangiato chi e da chi sono stati liberati finalmente.
Mamma perché oggi non fai la solita strada per andare a scuola?
A quanto pare oggi a scuola non ci devo andare perché la mamma mi porta da un dottore che mi farà fare lo stesso gioco dell’altra sera. Anche se faccio un po’ fatica, questa nuova abitudine di leggere le favole mi piace tantissimo e saltare un giorno di scuola non fa mai male. La mamma ha anche detto che se il dottore ci mette tanto tempo e mi stanco poi mi porta a prendere il gelato!
Lo studio è pieno di lettere, grandi e piccole, colorate e capovolte, sembra quasi che l’alfabeto si rincorra. Proprio come nella mia testa!
Su un muro c’è un cartello per ogni lettera dell’alfabeto e quelle le riconosco benissimo perché non sono dentro delle parole confuse in righe confuse di pagine confuse. I muri sono bianchi e qui devo dire che potevano impegnarsi un po’ di più, però almeno ci sono le sedie con le rotelle che girano come piacciono a me.
Stavo iniziando ad apprezzare il tavolino su cui colorare quando è arrivato a chiamarci un omino coi baffi bianchi, il pizzetto e la barba, gli occhiali e una camicia a puntini. Ci porta in una stanza che finalmente ha le pareti viola e ci fa sedere. Prima mi fa fare lo stesso gioco della mamma, poi le cose cambiano un po’ e mi chiede di spiegargli cosa ho capito. È una storia facile, ma non ho capito bene bene perché ho dovuto leggere quasi tutto io e ci abbiamo messo tantissimo tempo per leggere solo poche pagine.
Ora devo anche scrivere. Il dottore coi baffi ha detto che non devo preoccuparmi se sbaglio qualche lettera l’importante è che si capisca il senso e che sia veloce.
Bene, mi hanno detto che so leggere, che so capire e anche che so scrivere, anche se vedono che non è facile per me. Niente di nuovo. Il dottore però mi ha mandato a giocare ancora con il tavolo dei colori ed è rimasto a parlare con la mamma.
È uscita con la faccia preoccupata che aveva l’altro giorno ed era la stessa delle maestre.
Mamma mamma perché stringi le sopracciglia e la fronte come se fosse successo qualcosa di brutto?
Eccola, ecco la parola difficile venire fuori dalla bocca di qualcun altro. La mamma mi ha spiegato che c’è un motivo per cui faccio fatica a leggere e scrivere! Appena me l’ha detto le ho spiegato che per me essere dislessica è una cosa bella perché ora non mi sento più stupida. Non dovrò più inventarmi modi per copiare le parole difficili che non riesco a imparare, non dovrò più stare pomeriggi con la testa dentro un libro che non vuole dire niente solo per dimostrare alla maestra che non è che non mi impegno, ma che qualcosa proprio non va.
Anzi sembrerò superintelligente quando lo spiegherò ai compagni che mi prendono in giro perché non sono brava quanto loro. Secondo me, loro, neanche lo sanno che esiste un superpotere come il mio.
Sì, a casa mia la dislessia è un superpotere. Perché una persona dislessica non fa fatica a ragionare, fa solo fatica a seguire i ragionamenti come li fanno gli altri. Se me lo chiedessero saprei dire cosa succede in tutte le storie che mi sono state lette, ma non saprei mai rispondere a una di quelle tantissime domande che mettono nelle invalsi con tutte quelle doppie negazioni e pochissima differenza tra le alternative. Neanche se fossero sulla mia favola preferita.
Dopo quello che ha detto il dottore dai baffi bianchi basta ammettere di aver quello che gli altri pensano sia un problema e puff. Puoi usare delle carte speciali per aiutarti, tutte colorate, se la tua scuola ce li ha, puoi chiedere un computer ogni tanto, la maestra non ti sgrida più se confondi i suoni e finalmente non ti senti più diversa, anche se lo sembri di più.
Sì, i compagni che ti prendono in giro ci sono ancora, ma sono meno di prima e non ti danno più fastidio perché vedi che fanno così solo perché non capiscono o perché sono invidiosi delle cose che puoi usare e loro no. Vorrei che il dottore venisse a spiegare cosa vuol dire dislessia anche a loro…
Mamma mamma cosa posso fare per non crescere, come dici tu, depressa e con una bassa autostima?
Per fortuna hanno capito cosa ho ora che sono solo alle elementari. Mi hanno spiegato che se non facciamo qualcosa subito poi c’è il rischio che io cresca triste e credendo di essere stupida. Quando lo dice la mamma suona più come depressa e con bassa autostima, ma non sono troppo capace di usare questi termini quindi userò i miei. Da quello che ho capito, ci sono anche degli adulti che hanno paura di dire di essere dislessici perché sono sempre stati giudicati per questo e poi sono cresciuti tristi. Non è colpa loro se ci pensate. Loro hanno capito che il mondo non li capiva e hanno fatto finta che il loro avere un DSA potesse non esistere, almeno agli occhi degli altri se non anche ai propri. Poi si capisce perché siano cresciuti tristi… Certi dicono persino che abbiano fatto più fatica a scuola che nella vita vera. Dicono di sentire la scuola come qualcosa di diverso dalla loro vita. Da grandi sono più liberi, liberi di non finire il libro entro la data che dice la maestra, liberi di riscrivere il loro testo anche dieci volte facendo gli scarabocchi, liberi di essere dislessici senza sentirselo dire nei corridoi.
Ora sembra che il mondo inizi a capire un po’ di più e questo mi dà il tempo per capire anche me stessa oltre che il mondo che non capisce noi.
Sì, è tutta una questione di capirci qualcosa qui.
Mamma mamma l’esame è alle tre di pomeriggio, riesci ad esserci?
Sì, sono arrivata alla maturità. Non è un professionale qualunque, come ci si aspetterebbe visto che non ho mai eccelso in niente. Nello scientifico della mia città sono una delle migliori della classe e ho passato il test per entrare a Medicina.
Avrei potuto scegliere qualcosa di più semplice, ma volevo dare ad altri bambini la stessa consapevolezza che quel dottore coi baffi bianchi ha dato a me dieci anni fa. Avrei potuto arrendermi quando le righe dei libri erano così fitte da incrociarsi tra di loro. Mi sarei potuta rifiutare di usare gli aiuti che mi hanno offerto da piccola perché non era una cosa comune avere una dislessia riconosciuta. Avrei potuto rin unciare alla lettura, che invece ora è una delle mie migliori amiche quando mi sento nel mondo sbagliato, perché ne crea altri.
Non mi è mai piaciuto che le persone pensassero che il mio lavoro svolto al computer fosse meno difficile da svolgere rispetto a quello su carta dei miei compagni. Il computer, le schede, gli audiolibri, il tempo in più, niente di questo mi ha mai semplificato il lavoro, l’ha solo reso equo. Ho perso anni con compagni che non mi capivano, con maestre che pensavano non mi impegnassi, con dubbi che mi tormentavano, con parole che non si facevano leggere.
Quando la parola dislessia è entrata nella mia vita, ho finalmente potuto scegliere di dare un futuro a quella bambina che non capiva le favole e un orgoglio a quella madre che non capiva la figlia.
Cleo Cantù