Milano-Parigi, Parigi-Clermont. Per fortuna un solo scalo.
Alla stazione un cartello col tuo nome. Parlano una lingua che hai smesso di sentire in terza media, ma i sorrisi e gli abbracci sono sempre gli stessi.
Il primo giorno di scuola vieni presentata come nei film e ti accorgi che sei la ragazza italiana a cui chiedono continuamente se ha nostalgia di casa e che riesce a rispondere onestamente “no, perché mi trovo bene dove sono”. Pensavi sarebbe stato difficile seguire le lezioni, invece ti accorgi che il tuo cervello capisce prima di riuscire a tradurre.
Il secondo, invece, riesci a perderti tornando a casa a piedi, ma quando ci arrivi, senza Maps, perché il telefono era morto mentre ti disperavi, ti senti già più grande e protagonista di una storia da raccontare.
In una settimana riesci a far crollare le certezze dei prof che erano convinti di cavarsela con l’inglese provando a intervenire e vedendo che ti hanno capito tutti in classe meno che loro.
Il primo weekend in cui si finisce scuola tutti allo stesso orario, si parte per Parigi e non sai se sei più felice o sconvolta perché sulla punta della Tour Eiffel non pensavi di salirci e Disneyland ti sembrava lontanissimo.
Dopo due settimane riesci ancora a dire che casa non ti manca troppo, ma hai fatto scorta di pasta Barilla e ti sei messa a ballare con quello che suonava “Nel blu dipinto di blu” in mezzo a una strada piena di gente.
In un mese ti sei abituata a tante cose. Al “coucou” che usano come saluto quotidiano, al “à table” quando è pronta la cena, a coniugare i verbi la sera con le tue host sisters, ad usare la borsa anzi che lo zaino, a cambiare aula per i corsi, a chiamare i tuoi amici in giorni prestabiliti, a sentire il tuo nome con l’accento sbagliato, a uscire sotto la pioggia senza ombrello, a stare a scuola tutto il pomeriggio, a fare verifiche solo il mercoledì, a spegnare la sveglia il venerdì sera. Ci hai messo un mese ma ti sei abituata alla tua nuova vita.
Cleo Cantù 4F
