Una stretta di mano, uno sguardo da sotto la visiera, un sorriso mascherato.
Questa settimana è la settimana della gentilezza, ma è da febbraio che, per i medici di tutto il mondo, dispensare pillole di gentilezza insieme ai medicinali è diventato fondamentale. Sì perché un medico è sempre tenuto ad essere professionale con i suoi pazienti, solo che quella a cui assistiamo oggi nei reparti più che un’educazione dovuta è un’umanità emozionante.
Passando solo qualche ora in un reparto terapie intensive è facile vedere come ormai il personale ospedaliero sia, forse, ancora più in difficoltà dei malati stessi e, nonostante ciò, non manchino mai una carezza per calmare la preoccupazione di un anziano, il festeggiamento per una dimissione o, semplicemente, due chiacchiere tra una trasfusione e l’altra.
Molti studi hanno già ampiamente confermato l’influenza dello stato psicologico di un paziente sulla propria condizione clinica e, allora, insieme alle numerose cure sperimentali, perché non provare anche quella della gentilezza?
Ciò che veramente sorprende poi è la voglia che queste persone hanno di fare del bene anche se, alla fine del loro turno da dodici ore, sono costretti a confrontarsi con chi la mascherina non la porta perché tanto nessuno studio ne ha attestato l’utilità e con chi la porta ma sotto al naso, con chi critica le precauzioni prese senza avere soluzioni migliori o persino con chi non smette di far serata perché tanto il covid non esiste.
Questi non sembrano comportamenti straordinari per il periodo che stiamo vivendo. Per capirne l’importanza bisognerebbe chiederlo a tutti i ricoverati che sono dovuti rimanere giorni in compagnia solo della paura e di quei personaggi nascosti dietro le tute integrali bianche che provano a fare del loro meglio per rendere la guarigione più rapida se non, addirittura, per scacciare la morte. Bisognerebbe chiederlo a loro per capire quanto di straordinario ci sia dietro a quella tuta. Questa è gentilezza vera.
Cleo Cantù
