“GUARDARE L’ALTRO COME NOI”. Vivere nel campo profughi di Moria

“Al campo di Moira due ragazze di 11 e 15 anni hanno costruito una scuola all’interno di una tenda utilizzando quaderni recuperati per fare lezione alle amiche”. Questo è ciò che ci racconta Manuela Dogliotti, una volontaria della comunità di Sant’Egidio che quest’estate ha fatto visita al campo nell’isola di Lesbo, in Grecia.

Moira è la struttura che ospita richiedenti asilo più grande in Europa: in totale vi sono tredicimila donne, uomini e bambini come noi. La qualità di vita è molto bassa, gli abitanti del campo vivono in condizioni igieniche precarie e  non è necessario visitarlo per poter giudicare. Infatti su tredicimila persone, 500 sono obbligate a condividere la stessa doccia e 160 lo stesso bagno, in aggiunta i servizi sono limitati a una sola zona del campo nella quale risiedono in tremila, quindi non istantaneamente raggiungibili dalla parte restante dei soggiornanti.

I residenti a Moira sono prevalentemente giovani, persone che, dice Manuela, “hanno lasciato il niente dietro e talvolta vedono il niente davanti”, persone che non perdono mai la speranza di costruirsi un nuovo futuro, che non abbandonano mai la loro dignità.

L’emblema di questa voglia di futuro è rappresentata dal breve esempio iniziale, quello che ci ha colpite maggiormente: è incredibile come, in un “luogo disumano che rende disumani”, due ragazze riescano comunque a far ardere il loro desiderio di riscatto, a lasciare un segno. 

La stessa Manuela ci invita proprio a prendere la vita con lo stesso spirito, come è successo a lei, in quanto questo viaggio, afferma, non è stata un’esperienza, ma un legame che le ha profondamente cambiato la vita di tutti i giorni.

Ecco la lezione principale per tutti noi dalla volontaria, adulti, ma soprattutto giovani: usiamo la scuola come un luogo in cui sentirci decisivi, con l’intento di cambiare sempre le cose.

“Bisogna guardare l’altro come noi”.

 

Di Serena Citriniti e Matilde Tragni 5A

Può interessarti...