Il profumo del pianoforte

Hai in mente quelle altalene orizzontali presenti nei parchi giochi? Quelle che si odiano sui libri di fisica, ecco, prova ad immaginarne una alta più o meno tre metri, dove al posto dei sellini ci sono un pianoforte, da un parte, e un tappeto, dall’altra. È una sorta di giostra inventata da alcuni francesi, i quali, geniali come sempre, sfruttando un piccolo ventilatore nell’estremità della pianista fanno lentamente ruotare, come su un calcinculo, il tappeto fluttuante e il pianoforte. All’estremità dei bracci sono anche presenti due enormi ampolle, le quali, comunicando tra loro con un piccolo tubo, si trasferiscono un liquido azzurro in modo da bilanciare i pesi e rendere possibile la rotazione, proprio come una bilancia che può roteare su se stessa, pazzesco. Ora che ho finito con il libretto delle istruzioni inizia il viaggio: la pianista inizia a suonare un meraviglioso valzer di Schubert, il tappeto inizia a prendere il volo, sento quella sensazione angosciosamente bella, come quando l’aereo sta prendendo il volo e stacca le ruote da terra, quel secondo in cui ti sembra di sprofondare o decollare verso il nulla.

Le carezze che per magia escono da quei pezzetti d’avorio mi sparano indietro nel tempo, tutt’un tratto non sono più a Colorno nel caldo inizio di Settembre, no, sono a Parma ed è fine dicembre. Un ventitré dicembre infatti andai alla Giovane Italia, un locale di Parma, per jammare con un mio amico:  a dir la verità non ero neanche sicuro al cento per cento di volerci andare, ma ci andai. Fu lì che la sentii suonare il piano per la prima volta: non sapevo che voce avesse, non sapevo se preferisse ketchup o maionese, pari o dispari, inferno o paradiso, ma mentre dialogava col piano suonava indirettamente il mio cuore, probabilmente non sapeva fossi un malato di musica e lei la cura, il veleno. Come l’inchiostro nell’acqua il canto di quei tasti si diffuse in tutto il mio corpo, come una malattia, come una dipendenza. E ora son qua che fluttuo ad un metro da terra, su un tappeto, la gente mi guarda, io la guardo, ma non vedo nessuno. L’inchiostro nelle mie vene affiora ai capillari dei pensieri, sai quando cammini per strada e senti un profumo che ti ricorda qualcosa? Ecco, il profumo del pianoforte mi sta ricordando lei, e più guardo questa pianista girare insieme a me più vedo lei, bussola ed uragano.

Mi sento come Proust e i suoi baffi sporchi di briciole, briciole che in testa si mutano in sguardi, desideri, specchi. Mi sembra di rivivere platonicamente quel giorno, è una sensazione strana, bellissima, opprimente. Come un fumatore che ha finito le sigarette e vede una persona fumare, io ora non riesco ad averti, nonostante non brami altro. A volte mi dicono che son troppo romantico, troppo dolce, si fottano tutti, che il diabete sia la mia croce.

Riccardo Guareschi, Cl^5E

05/09/2020

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