Via Anna Frank, zona Stadio, sabato mattina ore 11. Esco per comprare pane e giornali, non avrei
mai immaginato di provare tanta gioia per acquisti così banali.
Io che da tanto tempo, come credo molti di noi, ero abituata a sfogliare il quotidiano online.
Dopo questa emergenza, e so di fare un grave affronto al mio preside, praticherò un sano periodo
di digital detox. Spengo tutto. I tre I-pad, i due Mac, l’altro PC portatile con l’algoritmo della curva
colorata dei contagi che minacciosa punta costantemente in alto, perfino la smart TV con Sky-
Netflix-AppleTV-AmazonPrime e, come ultimo arrivo, Disney Plus.
Nel mio breve percorso verso l’edicola incontro tante persone. Troppe. Le file in via Torelli davanti
alla salumeria, da sempre mio luogo privilegiato di orientamento in entrata, davanti al
fruttivendolo, davanti alla tabaccheria, davvero c’è ancora qualcuno che fuma?, davanti alla
parafarmacia, per prenotare le mascherine, 8 euro l’una perché lavabili oltre venti volte, davanti al
negozio di telefonia, come non aumentare i giga in questo momento, si allungano fino ad arrivare
sul marciapiede opposto.
Mi soffermo un attimo a guardare le persone in attesa paziente e noto particolari che
testimoniano l’eccezionalità del momento. Tutti con le mascherine, qualcuna molto professionale,
altre coloratissime, altre ancora fatte in casa. Gli occhi sono smarriti, ci si guarda intorno senza
parlarsi, le signore di mezza età come me hanno tentato di nascondere una ricrescita di capelli
bianchi ormai inesorabile. Dei panda o, meglio, delle tigri, pronte ad aggredire chi salta la fila. Il
parrucchiere del resto è in cima alla lista dei desideri femminili, come ha rivelato un recente
sondaggio del Corriere. Sono fortunata, penso, ho pochi capelli bianchi, un taglio corto e dei colpi
di luce. Posso resistere almeno un altro mese. Piccola felicità quotidiana.
Cammino velocemente e una signora alla guida di un’auto scura mi saluta. Non la riconosco.
Questo fanno le mascherine. Ci mascherano. Dal nemico invisibile, speriamo, e, di sicuro, dal
conoscente/amico/parente/vicino di casa. Sono le “maschere nude” che resteranno nella storia
come immagine del nostro tempo. Come la foto della bimba che scappa nuda durante la guerra
del Vietnam.
La signora si ferma, abbassa il finestrino, si toglie la mascherina e la riconosco. E’ la mamma di un
mio studente di terza. Ci informiamo reciprocamente sulle condizioni di salute delle rispettive
famiglie e, finalmente, una bella notizia. I ragazzi, mi dice, sono sereni, le videolezioni, con la
possibilità di vedersi e parlarsi seppure a distanza vogliono dire molto per loro. La saluto con
calore e mi viene in mente una mail ricevuta di recente.
Uno studente ormai quarantenne, e quindi diventato un amico, che vive in Scozia mi ha scritto
pochi giorni fa. Viene da Bergamo, da un paesino in campagna tra Brescia e Bergamo, dove la
tragedia ha dimensioni disumane. Andrea era uno studente ribelle, che non rispettava le regole e
che aveva un costante atteggiamento di sfida verso gli adulti, mente brillantissima e battuta
altrettanto pronta. Per me, docente giovanissima neoentrata in ruolo, un grosso impegno. Nella
sua mail mi ha scritto che gli insegnanti possono fare la differenza, che spesso lasciamo un segno
più profondo di quanto crediamo.
Non mi sento di essere uno scudo di quiete nella tempesta, ho dimensioni troppo limitate, e
neanche un lume nel buio, nonostante il mio nome.
Un presidio dello Stato, questo vorrei essere. Perché lo Stato non chiude quando c’è
un’emergenza, ma apre, non sta fermo ad aspettare che passi, ma agisce, non si rivolge ai pochi,
ma all’intera comunità.
Vorrei continuare a fare la differenza. Lo so che non sarà così per tutti e che forse qualche
studente approfitterà di una situazione fuori dalla prassi ordinaria. Va bene così. Nei tempi difficili
l’atteggiamento che assumiamo mette in evidenza i tratti del nostro carattere. Mi basta che per
qualcuno di loro la serenità sia anche l’appuntamento di una videolezione in cui leggere e
commentare insieme un testo letterario, magari con maggiore piacere di quanto non avrebbero
fatto nei giorni normali.
Come si vede, proprio niente di eroico.
Lucetta Dodi
Vecchia strada lastricata nel centro storico di via Parma © Imagen Emmanuel Buchot